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LUGANOLa prova costume dell'imprenditore seriale

12.06.19 - 06:00
Il 32enne luganese Paul Burggraf si mette "a nudo" mentre si tuffa in una nuova impresa. Questa volta oltre confine
foto caldelari
Paul Burggraf, 32 anni
Paul Burggraf, 32 anni
La prova costume dell'imprenditore seriale
Il 32enne luganese Paul Burggraf si mette "a nudo" mentre si tuffa in una nuova impresa. Questa volta oltre confine

LUGANO - La camicia non la toglie, perché non vuole «far sfigurare il prodotto». Paul Burggraf non ha più il fisico del 2005, quando vinse Palco ai Giovani con la sua band di “capelloni” (Rock 'n Rejoice). È passato qualche annetto anche dalla sua avventura sudafricana: un'azienda e un marchio (di espadrillas) creati a Città del Capo. Una ventina di dipendenti, la storia fece il giro della Svizzera. «In realtà tutto è iniziato molto prima – precisa – alle elementari vendevo noccioline ai vicini di casa». Da allora non si è fermato il giovane imprenditore, seriale come pochi in Ticino: è diventato un po' meno giovane, ma continua a sfornare idee.

Qualcuno potrebbe chiedersi: perché non va a lavorare, Burggraf? 
«In realtà faccio da tempo consulenze e mi occupo di marketing online. Ma è vero: mi piace restare autonomo. Una vita intera da impiegato non fa per me». 

Cos'è un imprenditore seriale?
«Nel mio caso, una persona che ha bisogno di mettersi di continuo alla prova. Che ha lanciato una serie di progetti imprenditoriali. Alcuni andati bene, altri male». 

In tutto quanti? 
«Una dozzina. Per lo più nel settore e-commerce e della sartoria»

Perché?
«Mia madre faceva la sarta a domicilio. Cuciva in casa, da piccolo l'aiutavo. Poi ho girato il mondo e in Sudafrica ho incontrato un sarto: è scattata una molla. Laggiù ho creato un'impresa con tanta passione, e pochi capitali»

Come è finita?
«L'azienda va bene e continua a operare. Non sono diventato ricco, ma ha gettato le basi per il mio profilo da imprenditore»

E i progetti andati male?
«Ho provato a produrre una linea invernale in Cechia. Prezzi equi, buone retribuzioni. Ma eravamo troppo piccoli. Ho lanciato con dei soci una linea di costumi made in Ticino. Idea buona, ma la squadra non funzionava»

Fallire, in una certa cultura, è una macchia indelebile.
«In America se non fallisci due o tre volte non sei considerato un imprenditore. Da noi è diverso. Ma tutto sta nell'accorgersi quando un progetto non funziona: capirlo presto, e ripartire». 

L'ultimo progetto?
«Ho appena lanciato un marchio di costumi da uomo, prodotti a Como da una manifattura storica, si chiama “Caldelari”».

Oltre confine. 
«In Ticino pago le tasse, creo indotto. E non si creda: nel mio caso, i costi di produzione sono altissimi, anche in Italia. Lavorazione a mano, maestranze iper-specializzate. L'eccellenza italiana può essere una risorsa per l'imprenditoria ticinese, è stupido non approfittarne».

E i costi per il cliente? 
«Alti anche quelli. Ma più bassi rispetto alle griffe d'alta moda. Eppure la qualità è la stessa»  

Sarà la volta buona? Finora il colpo grosso, da sistemarsi per sempre, non è arrivato. 
«L'idea di sistemarmi non mi è mai appartenuta».

I soldi servono però. 
«Sono un'unità di misura. Un progetto deve stare in piedi. Ma quello che conta è la gioia di creare. Quando inizi, non smetti più». 

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