Super laureati (e non solo) sotto pagati, la fuga dei cervelli non si ferma. Storie di tre professionisti che hanno fatto le valigie. E le speranze del consigliere di Stato Christian Vitta
LUGANO – «Me ne vado a Berna. Ho due master in tasca e qui in Ticino non riesco a trovare un lavoro a tempo pieno che mi frutti più di 4.500 franchi al mese». Non è uno scherzo. È la realtà con cui sembra essere confrontato Roberto (nome di fantasia), 45enne ingegnere del Luganese. Roberto rappresenta uno dei troppi cervelli in fuga dal Ticino. Ed è in “buona compagnia”. Anche Franco, 42enne bellinzonese che lavorava nel settore parapubblico, è emigrato. «In Ticino doveva lavorare anche mia moglie. Ora, a Zurigo, con la mia sola paga mantengo tutta la famiglia».
I numeri dicono tutto e niente – Qualcosa evidentemente continua a non quadrare nel campo degli stipendi nella Svizzera italiana. I dati (invero poco chiari) dell’Ufficio federale di statistica indicano che in Ticino la perdita migratoria oscilla tra il 10 e il 18%, rispettivamente a 1 e a 5 anni dalla laurea. L’Ufficio cantonale di statistica evidenzia, invece, come la meta preferita dai ticinesi in fuga sia il canton Zurigo (+36 persone l’anno in media), seguito da Grigioni, Vaud e Berna.
I disagi non sono solo nel terziario – E il problema non riguarda solo il settore terziario. Massimo, 39enne idraulico, ha deciso di trasferirsi dal Mendrisiotto al canton Argovia. «In Ticino ero disoccupato da un po’. Qui, invece, in due anni mi hanno già dato tre volte l’aumento. L’unico mio problema è il clima. Ad Aarau fa quasi sempre freddo. Mi manca il caldo del Ticino».
Politica ferma al palo – La questione è trita e ritrita. Tra dumping salariale e altre variabili (tra cui l’irresponsabilità di alcuni proprietari d’impresa), il Ticino sembra non essere più attrattivo per i lavoratori, soprattutto per quelli particolarmente qualificati. Finora la politica, nonostante i buoni propositi, non è riuscita a smuovere le acque in maniera significativa.
La realtà dei fatti – Christian Vitta, direttore del Dipartimento cantonale delle finanze e dell’economia (DFE), osserva: «Se, da un lato, il tessuto economico ticinese è in grado di offrire interessanti opportunità di lavoro, in svariati ambiti, con una richiesta sempre più marcata di profili qualificati, dall’altro, ci sono purtroppo dei settori dove le pressioni salariali, dettate dalla particolare collocazione del nostro Cantone a cavallo della frontiera, minano la qualità di questi impieghi».
Un’adeguata sorveglianza – Pressioni che vanno contrastate favorendo lo sviluppo di settori economici innovativi e con impieghi adeguatamente remunerati. «Nonché – riprende Vitta – garantendo un’adeguata sorveglianza del mercato del lavoro e un’attuazione sistematica delle misure di accompagnamento alla libera circolazione».
Paradossi ticinesi – Per ora tutto questo resta puramente teoria. Se ci sono misure di accompagnamento alla libera circolazione e relativi controlli, verrebbe da chiedersi perché esistono ancora aziende che pagano 1.800 franchi di stipendio per un tempo pieno. Vitta spiega: «In questo contesto, è necessario anche promuovere ulteriormente una sana cultura imprenditoriale, che contraddistingue la maggior parte delle aziende del nostro Cantone».
Gli obiettivi del consigliere – «Nel corso di questa nuova legislatura – sostiene Vitta –, il DFE intende porre una particolare attenzione al tema della “responsabilità sociale delle imprese”, permettendo al Ticino di consolidare il proprio tessuto economico, la sua competitività e la sua attrattività per determinati profili professionali. Inoltre, è necessario favorire un dialogo e una collaborazione tra il mondo della ricerca accademica e quello imprenditoriale, con lo scopo di promuovere nuove attività orientate al futuro».