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LUGANO"Frontaliera" tra Calabria e Ticino: non verrà espulsa

22.03.19 - 10:17
La storia di una lavoratrice italiana che si è vista recapitare il foglio di via dal Cantone. Ha fatto ricorso, e i giudici le hanno dato ragione
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"Frontaliera" tra Calabria e Ticino: non verrà espulsa
La storia di una lavoratrice italiana che si è vista recapitare il foglio di via dal Cantone. Ha fatto ricorso, e i giudici le hanno dato ragione

LUGANO - Aveva fatto scalpore il suo caso, raccontato da tio/20minuti due anni fa. Una 40enne italiana, in Ticino da 15 anni, si era vista consegnare un decreto d'espulsione perché secondo il Cantone il suo «centro d'interessi» era nella terra d'origine, in Calabria.

In visita ai genitori - La donna era rimasta di stucco e così molti nostri lettori: in Calabria ci andava «un paio di volte l'anno, non di più» a trovare gli anziani genitori, aveva spiegato. Ma niente da fare: per il Dipartimento delle istituzioni la lavoratrice era da considerarsi frontaliera. E il governo avallò la decisione. 

Battaglia legale - Finita lì? Neanche per sogno. La 40enne si è rivolta al sindacato Ocst e ha fatto ricorso al Tribunale amministrativo cantonale, che settimana scorsa le ha dato ragione ribaltando il verdetto. «Indipendentemente dalla sua situazione professionale, è un dato di fatto che la ricorrente abiti ormai da molti anni in Ticino, dove è praticamente sempre stata attiva professionalmente» si legge nella sentenza.

Pendolare per 1300 km? - Il fatto che la donna «si rechi occasionalmente a Reggio Calabria durante le festività» è irrilevante per i giudici. Che non risparmiano ramanzina geografica al Cantone: «Sostenere che l'interessata avrebbe la propria residenza a 1300 km dal luogo in cui lavora, e che quindi un permesso per frontalieri sarebbe stato appropriato, è un ragionamento al limite dell'assurdo». 

«Politica arbitraria e indifferente» - Cestinata l'espulsione come «arbitraria e distorta», resta il danno e il tempo perso. In due anni di attesa della sentenza la donna ha faticato non poco a mantenersi, spiegano dall'Ocst: «Ogni volta che trovava un impiego, le incertezze sulla sua procedura facevano desistere i potenziali datori di lavoro» racconta il sindacalista Marco Rocca, che ha seguito il caso assieme all'ufficio giuridico Ocst. «Alla fine giustizia è fatta, ma rimane il disappunto verso un'autorità che sembra giocare con la pelle della gente. Il tutto nell'apparente indifferenza totale della politica».   

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