Cerca e trova immobili

CANTONE«Per andare in montagna non affidatevi ai social»

23.01.19 - 07:58
L’alpinismo raccontato da Hervé Barmasse, che stasera terrà una conferenza pubblica nell’ambito della manifestazione Sportech
Archivio Hervé Barmasse
«Per andare in montagna non affidatevi ai social»
L’alpinismo raccontato da Hervé Barmasse, che stasera terrà una conferenza pubblica nell’ambito della manifestazione Sportech

TENERO - «La tecnologia? Non va utilizzata per eludere l’avventura in montagna… altrimenti tanto vale salire in vetta con l’elicottero». Lo dice Hervé Barmasse, alpinista di 41 anni che - originario della Valtournenche, sul versante italiano del Cervino - è nato con la montagna nel sangue. Dapprima dedicandosi allo sci alpino, ma poi a sedici anni un grave incidente l’ha portato sulla strada dell’alpinismo. E quindi a seguire le orme del padre, del nonno e del bisnonno. Barmasse, che il sudtirolese Reinhold Messner ha definito come il suo erede, parlerà de “L’uomo e la tecnologia in alta montagna” in una conferenza pubblica in programma stasera, mercoledì 23 gennaio, alle 20 al Centro sportivo nazionale di Tenero. «La tecnologia va usata nel modo giusto, altrimenti il contatto con la montagna è meno autentico» afferma.

Hervé, scali le vette da oltre vent'anni. Cosa ti dà la montagna?
«Mi permette di rendermi conto della dimensione dell’uomo. Si pensa sempre che l’uomo possa prevalere su tutto e su tutti. Anche sul mondo che ci ospita. Ma quando in montagna vivi determinate esperienze, capisci di essere piccolo, che bisogna avere rispetto di quanto ci sta attorno».

Negli anni ti sei dovuto confrontare anche con delle tragedie. Non hai mai pensato di rinunciare all'alpinismo?
«Purtroppo le tragedie sono molte. Tra queste c’è anche la perdita di uno dei miei più cari amici, Gérard Ottavio, che è morto sul Cervino. Sulla montagna di casa, la montagna che più amo. Ed è la stessa montagna che mi ha portato via un amico. Gli interrogativi non mi mancavano. Ma bisogna ricordare che nessuno va in montagna per cercare la morte. Si va in cerca di qualcosa che per noi alpinisti è vita, passione, amore».

Parlando di tecnologia, quale ruolo gioca nell’alpinismo?
«Un ruolo importante, come in genere - a mio parere - nella nostra società. Ma gioca anche dei brutti scherzi. Nello sport la tecnologia viene impiegata per migliorare le prestazioni, per andare alla ricerca di risultati che sino a qualche anno prima erano ritenuti impossibili. Viene però utilizzata anche, soprattutto nell’alpinismo, per ripetere delle imprese che erano già state compiute cinquanta o sessant’anni fa. Con la tendenza di venderle come delle grandi imprese. In realtà l’impresa è però minore e ha un sapore completamente differente. La tecnologia elude le difficoltà».

Come andrebbe dunque impiegata correttamente la tecnologia in alta montagna?
«La tecnologia positiva è quella che permette di portare più avanti i limiti, senza sottrarsi all'avventura. E poi c’è quella tecnologia che apre degli scenari nuovi. Io ho usato una scarpa per vette da ottomila metri che pesava seicento grammi. Normalmente una scarpa del genere pesa 1,3 chili».

Nell’alpinismo l’aspetto tecnologico riguarda soprattutto i materiali dell’equipaggiamento…
«Sì. Ma con l’innovazione è cambiato anche il modo di comunicare. Nel 1954 mio nonno era partito per sei mesi all’esplorazione della Terra del Fuoco, in Argentina. Le sue lettere ci mettevano due mesi ad arrivare a destinazione. Le ultime due erano inoltre state consegnate dopo il suo rientro in nave. Ora ti colleghi al satellite e puoi salutare la tua famiglia».

Non c’è più l’avventura estrema?
«La grande avventura è riuscire ancora a fare a meno di queste comodità. Un conto è usare WhatsApp e collegarsi ai social dal campo base di un Ottomila, un conto è essere completamente isolati dal mondo. Non si può fermare l’avanzata della tecnologia. Ma dobbiamo capire cosa vogliamo noi».

Lo scorso anno il Soccorso alpino Svizzero è intervenuto per 861 operazioni di salvataggio. Si tratta di un record. Non manca chi affronta ascensioni difficili con insufficiente allenamento o equipaggiamento non adatto. Quali sono i tuoi consigli per un’esperienza sicura in montagna?
«La totale sicurezza non c’è mai. La prima regola è però certamente quella di chiedere informazioni. Io pur essendo un professionista, parlo con la gente del posto, che conosce meglio di me la montagna. Ed è anche importante non affidarsi ai social network, dove spesso si trovano delle informazioni sbagliate. E un’altra regola è saper rinunciare: la rinuncia in montagna non è mai un fallimento».

Di recente anche tu, assieme all’alpinista tedesco David Göttler, hai dovuto rinunciare all’ascensione del Gasherbrum IV (7’925 metri), in Pakistan. Com’era andata?
«La spedizione era iniziata male. E a un certo punto abbiamo capito che era meglio lasciar perdere. Siamo dovuti intervenire per soccorrere un alpinista, che è stato trovato morto. E poi è giunta una richiesta di soccorso anche dall’Ambasciata russa e dai militari pakistani, per due alpinisti russi in difficoltà. Siamo intervenuti. E quando per noi era giunto il momento di risalire la montagna, il tempo era sfavorevole. Ci siamo detti che avevamo già ricevuto abbastanza messaggi che ci invitavano ad abbandonare la spedizione».

Stasera, mercoledì 23 gennaio, alle 20 al Centro sportivo nazionale di Tenero l’alpinista Hervé Barmasse parlerà de “L’uomo e la tecnologia in alta montagna”. Si tratta di una conferenza pubblica proposta nell’ambito della manifestazione Sportech (è gradita l’iscrizione su sportech2019.ch). Sempre stasera, dalle 17.30 alle 20, i laboratori di Sportech sono aperti al pubblico.

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
COMMENTI
 

Evry 5 anni fa su tio
Certo, come in altri casi i socila sono inaffidabili, avanti cosi e andrai sicuro
NOTIZIE PIÙ LETTE