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BELLINZONABoom di scavi archeologici: ma il patrimonio è per pochi

21.11.18 - 06:02
Avanza il cemento, ogni anno il Cantone investe tra i 200'000 e i 450'000 franchi per salvare reperti storici. Il fenomeno analizzato dalla specialista Rossana Cardani Vergani
Ufficio dei beni culturali
Boom di scavi archeologici: ma il patrimonio è per pochi
Avanza il cemento, ogni anno il Cantone investe tra i 200'000 e i 450'000 franchi per salvare reperti storici. Il fenomeno analizzato dalla specialista Rossana Cardani Vergani

BELLINZONA – «Sì, negli ultimi dieci anni il nostro lavoro è aumentato in maniera esponenziale». La crescente cementificazione nella Svizzera italiana mette a dura prova gli archeologi ticinesi. Parola di Rossana Cardani Vergani, capo del Servizio cantonale di archeologia. «Chiudiamo uno scavo al venerdì. E al lunedì ne iniziamo già un altro». Tanto, tantissimo lavoro. I cui frutti, spesso, finiscono per essere patrimonio per pochi eletti.

Ogni anno il Cantone spende tra i 200'000 e i 450'000 franchi in scavi archeologici. Quasi il doppio rispetto a un decennio fa. Eppure la maggior parte delle vostre scoperte resta confinata negli archivi. Perché questo paradosso?
«Si potrebbe senz’altro fare di più a livello di divulgazione. Il progetto di museo del territorio è definitivamente caduto. E così la maggior parte dei reperti resta conservata nei nostri depositi».

Eppure in Ticino ci sono tanti (forse troppi musei). Perché non puntare su quelli?
«Abbiamo già una valida collaborazione con il Castello Visconteo di Locarno, che accoglie l’esposizione permanente di vetri romani. E poi a Bellinzona con i musei di Castelgrande e di Montebello».

Un po’ poco…
«Per il resto, siamo sempre a disposizione di enti o musei che ci contattano per esposizioni. Abbiamo, inoltre, un ottimo rapporto con l’Associazione archeologica ticinese che, regolarmente, ci dà spazio sulle sue pubblicazioni».

Il ticinese medio non ha la minima idea di quello che fate… Non trova sia un peccato?
«Certo. Lo è. Però di solito nessuno è profeta in patria. E si pensa sempre che le cose belle le abbiano solo gli altri. Cerchiamo di sfruttare il più possibile lo spazio che ci danno i media. Nel nostro ufficio siamo in pochi. E per questo ci avvaliamo spesso di collaborazioni esterne. Purtroppo non abbiamo il tempo materiale per curare anche gli aspetti comunicativi».

Quanti scavi archeologici attualmente sono attivi in Ticino?
«Abbiamo due cantieri aperti a Claro. Poi ce n’è uno in apertura a Bioggio, nei pressi della villa romana, in merito all’ampliamento della scuola elementare. Presto ci recheremo ad Airolo, per sondaggi di prospezione legati al cantiere che si aprirà per la realizzazione del secondo tunnel autostradale».

Con che criteri scegliete dove intervenire?
«Ci muoviamo quando sappiamo che qualcosa può succedere. Solitamente nei momenti in cui viene pubblicata una domanda di costruzione in una zona con potenziale archeologico. A quel punto, il nostro compito è quello di arrivare sul posto prima di un’eventuale distruzione del patrimonio nascosto».

E poi?
«Tentiamo di recuperare quanto è possibile. Quello che è immobile e verrà distrutto lo documentiamo con foto, disegni e descrizioni dettagliate. Gli oggetti invece diventano, per legge, di proprietà dello Stato e pertanto entrano nelle nostre collezioni».

Vi capita di fare bloccare un cantiere?
«Di regola no. Il nostro lavoro può generare dei ritardi, ma facciamo veri salti mortali per evitare un blocco. Si cerca sempre di convivere con il cantiere edile».

E se si dovesse fare un ritrovamento eccezionale di valenza internazionale cosa accadrebbe? Ci sarebbero i presupposti per bloccare definitivamente la costruzione di un immobile?
«In Ticino questo non è mai successo. Ma se gettiamo uno sguardo alla Fondazione Gianadda di Martigny, e al suo parco archeologico, vediamo che in Svizzera esistono importanti precedenti».

Che tipo di oggetti o testimonianze vengono ritrovati in Ticino?
«Spesso si tratta di necropoli o strutture tombali, oppure di insediamenti. Strutture murarie magari risalenti al Medioevo o all’epoca romana. Troviamo molti oggetti. Di metallo, ceramica, vetro, anche oro in alcuni casi. Nel 2013, a Giubiasco, abbiamo trovato una splendida brocca a becco d’anatra (Schnabelkanne). È il fiore all’occhiello del nuovo millennio».

Torniamo al tema della cementificazione. Lo stress, per voi, è destinato ad aumentare?
«Probabilmente sì. Fino a una decina di anni fa si aveva il tempo di analizzare bene le scoperte. Ora si continua a costruire e la ricerca archeologica diventa sempre più frenetica».

In Ticino ci sono aree di rilevanza archeologica molto estese…
«Sì. Ad esempio nel Locarnese, tra Tenero, Solduno e Ascona. Oppure, nel Bellinzonese, a Giubiasco e in Riviera. Così come nel Mendrisiotto, tra Stabio, Ligornetto, Castel San Pietro. Ogni volta che si costruisce qualcosa da quelle parti, noi siamo chiamati in causa. Prima o poi, forse, l’avanzata del cemento cesserà. È un auspicio per il bene del nostro territorio».

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COMMENTI
 

Bacaude 5 anni fa su tio
Mi permetto di dire che, se da un alto gli scavi e gli studi si fanno perchè sarebbe da folli e miopi non farli, dall'altro si puô tranquillamente sostenere che la storia antica e medievale sia piuttosto negletta in questo Cantone. Non si promuove e non si ama parlarne. Essa ci rimanda troppo alle nostre radici italiche, quando il Ticino era parte integrante e orgogliosa del Granducato di Milano e si guardava a Sud piuttosto che a Nord. Diciamo che preferiamo studiare (forzatamente) le ipotetiche origini celtiche (ma forse etrusche visto l'alfabeto di Lugano) dei Leponzi piuttosto che approfondire la vasta presenza romana sul territorio. Peccato. Ci ridarebbe il giusto orgoglio latino che dovremmo avere. E magari trovare il coraggio di sostenere che il Patto di Torre precede e anticipa di un secolo il Patto del Rùtli...
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