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CANTONEScuola che verrà: «Il DECS nega il plagio della riforma francese?»

06.09.18 - 16:15
Un'interpellanza interpartitica chiede al Governo di verificare «se vi sia stata una «deliberata omissione di informazioni di interesse per i cittadini chiamati al voto»
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Scuola che verrà: «Il DECS nega il plagio della riforma francese?»
Un'interpellanza interpartitica chiede al Governo di verificare «se vi sia stata una «deliberata omissione di informazioni di interesse per i cittadini chiamati al voto»

BELLINZONA - Sotto il nome “La Scuola che verrà”, il DECS ha sviluppato una proposta di riforma della scuola dell’obbligo ticinese sulla quale le cittadine ed i cittadini ticinesi sono stati chiamati a decidere, il 23 settembre 2018, se accettare o rigettare il credito per la sperimentazione, durante tre anni, di alcune varianti.

Tramite un'interpellanza interpartitica (sottoscritta da Paolo Pamini, Boris Bignasca, Cleto Ferrari, Lara Filippini, Tiziano Galeazzi, Sergio Morisoli, Maruska Ortelli, Gabriele Pinoja, Massimiliano Robbiani) diversi deputati chiedono al Governo «se e come le fonti di ispirazione della riforma siano state pubblicamente comunicate in modo completo e trasparente a chi è stato chiamato ad esprimere un giudizio sulla proposta».

«In più occasioni - sottolinea l'interpellanza -, il Direttore del DECS, onorevole Consigliere di Stato Manuele Bertoli, ha negato pubblicamente che l’impostazione della SCV si ispiri a o tragga spunto dalla riforma scolastica adottata in Francia negli anni Ottanta dall’allora governo socialista Jospin (...). Il collega deputato avv. Andrea Giudici, ha però presentato una serie di citazioni che mostrano come vari elementi sostanziali delle visioni dipartimentali presentino delle spiccate analogie con contenuti di ugual tenore della suddetta riforma socialista francese».

L'interpellanza non intende «giudicare la bontà degli effetti della SCV e se questa sia effettivamente da considerare una riforma di impianto centralista e socialista». Chiede piuttosto se «il DECS, il suo Direttore, ed i suoi alti funzionari abbiano mancato di menzionare le fonti ispiratrici delle proposte di riforma avanzate, se abbiano pubblicamente negato tali nessi malgrado la loro presenza e se addirittura abbiano omesso di informare le parti sugli esiti di studi e verifiche fatte».

I deputati interpellanti, insomma, vogliono verificare se vi sia stata una «deliberata (parziale) omissione di informazioni possibilmente di interesse per le cittadine ed i cittadini chiamati al voto. In secondo luogo, trattandosi di materiali prodotti dal Cantone in ambito scolastico con forti riferimenti pedagogici ed accademici, la violazione delle norme in materia di plagio risulta essere più grave che in altri possibili settori di attività dello Stato. In terzo luogo, la pubblica negazione da parte di organi dell’Esecutivo di informazioni rivelatesi invece vere non può più passare per semplice negligenza bensì potrebbe di principio sfociare in un criticabile comportamento capace di compromettere la fiducia nelle istituzioni».

Qui di seguito le domande poste al Governo:

    • Chi ha eseguito la revisione della versione finale del documento “La scuola che verrà – Proposte per una riforma tra continuità e innovazione” del 2016 ed in particolare della ricca bibliografia riportata alle pagine 72-78 dello stesso?
    • Perché tale bibliografia non riporta alcun riferimento alla riforma dell’insegnamento attuata negli anni Ottanta dal governo francese Jospin, né tantomeno alle fonti che l’hanno ispirata? Si pensi per esempio a nomi come Meirieu, Dubet, Barthes e Derrida.
    • Il lodevole Consiglio di Stato, il DECS ed i suoi alti funzionari sono concordi con chi scrive che il plagio accademico (inglese plagiarism) costituisca un grave problema nella corretta produzione di materiale scientifico o parascientifico e che vada pertanto disincentivato, detettato e combattuto con adeguate misure?
    • Il lodevole Consiglio di Stato, l’Amministrazione cantonale ed in particolare il DECS possiedono delle linee guida tese a definire e ad evitare il plagio in occasione della produzione dei propri scritti a carattere scientifico o parascientifico, segnatamente nel caso della documentazione relativa al progetto SCV o alla revisione del piano di studio?
    • In assenza di linee guida contro il plagio all’interno dei materiali prodotti dal DECS, quali misure ha attualmente in essere il Dipartimento per evitare il verificarsi di casi di plagio?
    • Come riportato nel suddetto articolo del deputato Andrea Giudici apparso il 5 settembre 2018 sul quotidiano La Regione alle pagine 16 e 22, le similitudini tra alcuni passi dei documenti del DECS (sia connessi alla SCV sia connessi alla revisione del piano di studio) e altri passi citati dai materiali relativi alla riforma del governo socialista francese degli anni Ottanta colpiscono per la lampante vicinanza. Secondo Wikipedia (URL citato sopra), l’Università di Yale per esempio definisce il plagio come use of another’s work, words, or ideas without attribution, il che include using a source’s language without quoting, using information from a source without attribution, and paraphrasing a source in a form that stays too close to the original. Considerate le suddette analogie, ritiene il lodevole Consiglio di Stato che nel caso in analisi vi siano gli estremi per un caso di plagio? Quali sono le procedure formali che permettono di giudicare in maniera indipendente se si sia verificato un tale caso? Chi è o chi sono gli autori che potrebbero essersi macchiati di questa grave leggerezza nell’ambito delle attività intellettuali?
    • Al momento della pubblicazione dei materiali di questi ultimi anni, il lodevole Consiglio di Stato, il Direttore del DECS Manuele Bertoli e il Divisionario Emanuele Berger erano a conoscenza delle suddette forti analogie di contenuto e formulazione con i tratti salienti della riforma dell’educazione del governo socialista francese Jospin degli anni Ottanta?
    • L’analogia tra le visioni in materia di assetto educativo e scolastico espresse nella documentazione di cui il Direttore del DECS Manuele Bertoli ed il Divisionario Emanuele Berger si sono a lungo occupati e quelle della riforma dell’istruzione operata dal governo socialista francese Jospin sono state più volte tematizzare in occasione del dibattito pubblico. Il Capo Dipartimento ha pubblicamente negato che la SCV abbia tratto spunto dalla riforma francese, per esempio nell’articolo apparso il 9 luglio 2018 su La Regione. Ritiene il lodevole Consiglio di Stato che vi siano gli estremi per temere che di principio vi sia presenza di mendacia nella comunicazione pubblica relativa ad un tema attualmente oggetto di dibattito e votazione popolare?
    • Ci risulta che negli anni passati il DECS abbia studiato il modello scolastico canadese, imparentato con suddetta la riforma socialista del governo francese Jospin. Tali lavori di approfondimento hanno pure compreso l’invio in Canada di specialisti per valutare sul campo i risultati di tale modello. Perché nella ricca documentazione relativa alla SCV non si è fatto riferimento a tale studio sul campo? Non ritiene il lodevole Consiglio di Stato di aver in tal modo omesso, rispettivamente che il Dipartimento oppure la Divisione abbiano in tal modo omesso, di condividere con le persone preposte alla presa di decisione (ossia la Commissione scolastica, il Gran Consiglio ed ora le cittadine ed i cittadini) importanti informazioni che potrebbero influenzare le loro scelte sul progetto SCV?
    • Qualora sia stato allestito un rapporto a conclusione dello studio del modello canadese, quali sono le conclusioni ivi contenute? Sempre nel caso dell’esistenza di un tale rapporto, perché un tale documento non è stato incluso nei documenti di lavoro della Commissione scolastica, non viene citato nel documento menzionato alla nostra prima domanda, e non è stato messo a disposizione del Gran Consiglio né delle cittadine e dei cittadini votanti, perlomeno in una versione condensata?
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