Cerca e trova immobili

LUGANOGiovane pakistano disperato: «Se torno a casa, mi uccidono»

27.08.18 - 07:06
Il dramma di Naveed, ventiquattrenne da tre anni in Ticino. I talebani gli hanno promesso la morte. Ma lui non riesce a dimostrarlo a Berna
Tio/20 minuti
Giovane pakistano disperato: «Se torno a casa, mi uccidono»
Il dramma di Naveed, ventiquattrenne da tre anni in Ticino. I talebani gli hanno promesso la morte. Ma lui non riesce a dimostrarlo a Berna

LUGANO – Dovesse rientrare nella sua terra di origine, il Pakistan, forse i talebani lo ammazzerebbero. Naveed S., ventiquattrenne in Svizzera da tre anni, vive con un nodo alla gola. Berna non vuole più che stia su suolo elvetico. Già due i “no” incassati dal giovane, che finora non è riuscito a dimostrare di essere in pericolo di morte. Ora, in compagnia della fidanzata, una coetanea cresciuta a Lugano e con passaporto rossocrociato, lancia un appello. «Qualcuno si occupi della mia situazione. Sono disperato».

Carriera militare – La fuga di Naveed dal Pakistan si materializza nel 2015. Il giovane, che abita in una regione confinante con l’Afghanistan, ha fatto carriera nell’esercito locale. I talebani, durante un’imboscata, lo scoprono. E lo minacciano. «Mi sono accorto che sapevano tutto di me. Sapevano chi fossi, conoscevano la mia famiglia. Mi hanno detto che se non avessi collaborato con loro, avrebbero ucciso me e i miei cari. Sono stato loro prigioniero per due giorni».

Il lungo viaggio – Naveed capisce che in quella terra, per lui, non c’è futuro. E decide di fuggire. Attraversa a piedi l’Iran, la Turchia. Arriva sull’isola greca di Kos, per poi spostarsi in Macedonia, in Serbia, in Austria, in Slovenia, in Italia. Un viaggio straziante, di circa tre mesi, col cuore in gola. «Cercavo di salvare la mia vita».

Un interrogatorio fiume – Intanto, in Pakistan accade un episodio terribile. I talebani gli uccidono lo zio e il cugino. «Adesso una parte della mia famiglia ce l’ha con me. Mi ritiene responsabile di quanto accaduto». Naveed ci mostra la foto dei due cadaveri. L’ha fatto anche con i burocrati di Berna, che, tuttavia, non hanno ritenuto sufficiente la sua documentazione. «Mi hanno fatto un interrogatorio di otto ore. E sostengono che non sono riuscito a dimostrare di essere veramente in pericolo nel caso in cui io tornassi nel mio Paese».

Aveva pure trovato un lavoro – Il primo “no” arriva a fine marzo. Il secondo a metà luglio. E pensare che nel frattempo Naveed ha studiato l’italiano e ha pure trovato un posto di apprendistato come autista, presso una ditta del Mendrisiotto. «Ma non posso iniziare a lavorare. Perché mi vogliono buttare fuori. Sono angosciato. Quando sono arrivato, tre anni fa, credevo di avere trovato un’opportunità di salvezza. Ho vissuto nei centri per asilanti. E piano piano mi sono integrato nella realtà ticinese, fino ad avere la possibilità di vivere in un appartamento».

Il dossier potrebbe essere riaperto – Appartamento che, intanto, le autorità gli hanno tolto. Oggi Naveed abita a casa della fidanzata, a Lugano. «Ma è una soluzione instabile. La mia ragazza è in assistenza. Non potrebbe neanche ospitarmi. Non capisco. Prima le autorità mi illudono di potere ricominciare, poi mi dicono che devo andarmene. Sono affranto, ho perso tre anni. Con il mio avvocato, abbiamo chiesto la riapertura del dossier».

Un matrimonio che (al momento) non si può fare – Naveed e la sua compagna avrebbero pure pensato al matrimonio. In questo modo, il giovane pakistano sarebbe “salvo”, visto che la ragazza ha un passaporto svizzero. «Ci amiamo. Siamo insieme da oltre due anni. Ci siamo conosciuti via internet. Ma al momento non possiamo sposarci. Lei è in assistenza, mentre io non posso iniziare a lavorare a causa di questo casino burocratico. Lei dovrebbe essere in grado di dimostrare di potermi mantenere».

Uniti contro i rimpatri – È una situazione che sembra senza via d’uscita, quella di Naveed. La sua compagna, negli scorsi mesi, ha aperto la pagina Facebook “Uniti contro i rimpatri”. «Lo ha fatto con altre persone che si ritrovano nella nostra situazione. Io penso che le autorità dovrebbero essere più flessibili nella valutazione dei casi. Io non sono un rifugiato economico. Io rischio di morire. Me l’hanno detto a voce, è vero. E per questo non ho prove materiali da mostrare. Ma so che se torno in Pakistan, per me è finita».

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE