Chiude lo storico quotidiano edito dalla Curia. L’ex direttore Filippo Lombardi: «Chi conosce il mercato dei media poteva aspettarsi una situazione simile»
LUGANO – Una storia lunga oltre 90 anni. Poi la luce che si spegne. Cala il sipario sulla gloriosa avventura del Giornale del Popolo, fondato nel 1926 dal vescovo Aurelio Bacciarini. Venerdì 18 maggio uscirà l’ultima copia del quotidiano edito dalla Curia. Quello che sembra essere un fulmine a ciel sereno non sorprende Filippo Lombardi, che del GdP è stato direttore tra il 1987 e il 1996. «Purtroppo un po’ me l’aspettavo – dice l’attuale presidente di TeleTicino, Radio 3i e MediaTI web –. Qualche tempo fa il GdP ha scelto di rompere la collaborazione col Corriere del Ticino e di camminare con le proprie gambe. Riponendo molte aspettative in Publicitas…»
Publicitas è fallita negli scorsi giorni…
«Appunto. E chi conosce il mercato dei media sa benissimo che Publicitas navigava in cattive acque già da qualche anno. Davvero non capisco perché l’editore abbia optato per questa soluzione. Una situazione simile era prevedibile».
Gli accordi con il Corriere del Ticino erano diventati discutibili. Il GdP stava perdendo la propria identità.
«Per un certo periodo la cosa ha funzionato. Il GdP riprendeva un determinato numero di contenuti dal Corriere. Poi ci sono stati alcuni irrigidimenti non necessari. Il GdP desiderava rilanciare la propria identità, senza accrescere le sinergie col Corriere. Rinunciando, anzi, a quelle già avviate. Idea nobile, ma che sottovalutava alcuni rischi. Una certa oggettiva rigidità da ambo le parti non ha poi facilitato i negoziati, portando di fatto il GdP in quello che già un anno fa mi pareva un vicolo cieco».
Basta questo per giustificare la chiusura del giornale?
«No. Il Giornale del Popolo ha sempre avuto un problema. Dal punto di vista pubblicitario non è mai stato particolarmente forte negli agglomerati urbani. Nessun centro ticinese era “controllato” dal GdP. Il giornale funzionava bene nelle periferie. Ma lo spopolamento delle valli ha avuto un grosso peso sulla perdita di lettori e abbonati».
Lei, nei primi anni ’90, contribuì alla nascita della formula “Tre Top Ticino”…
«E questo verosimilmente permise al GdP di andare avanti ancora per oltre un quarto di secolo. Di resistere anche in condizioni difficili».
Il GdP da molti è visto come il giornale della Curia. Quanto conta questo dettaglio di fronte a questa resa?
«In un periodo di secolarizzazione è difficile promuovere un prodotto etichettato come cattolico. Però va detto che il giornale, pur avendo una particolare attenzione per le tematiche religiose, ha sempre mantenuto una certa oggettività».
Qual è il suo stato d’animo oggi?
«Sono dispiaciuto. Come lo saranno tanti ticinesi».
Pensando ai suoi anni da direttore, qual è il ricordo più bello che le torna in mente?
«Era la sera del 31 maggio 1987. Dalla rotativa stava uscendo il primo numero sotto la mia direzione. Con il mio primo editoriale. È un ricordo emozionante».