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BREGAGLIA (GR)Una pastora tra gli sfollati: «Qui si convive con l’incertezza»

08.09.17 - 07:09
Simona Rauch, 47 anni e un passato in Ticino, è responsabile della comunità riformata della valle colpita dalla frana del Pizzo Cengalo: «Quanti dubbi nella testa della gente»
Keystone
Una pastora tra gli sfollati: «Qui si convive con l’incertezza»
Simona Rauch, 47 anni e un passato in Ticino, è responsabile della comunità riformata della valle colpita dalla frana del Pizzo Cengalo: «Quanti dubbi nella testa della gente»

BREGAGLIA (GR) – È nata a Vicosoprano, a pochi chilometri da Bondo. La Bregaglia, Simona Rauch, la conosce sin da quando era bambina. Da dieci anni, dopo un periodo in Ticino e una lunga parentesi a Ginevra, è pastora della comunità riformata della valle. Mai avrebbe pensato di dovere affrontare una situazione di emergenza come quella in cui si è ritrovata dallo scorso 23 agosto, il giorno in cui dal Pizzo Cengalo sono iniziate a colare fango e rocce. Oggi più che mai, la teologa 47enne rappresenta un punto di riferimento per la gente del posto. «È una situazione drammatica – racconta – a Bondo, Sottoponte e Spino le abitazioni sono vuote. La gente è sparpagliata un po’ ovunque. Da amici, da parenti, negli alberghi».

Personalmente come sta vivendo questo momento?
«A Bondo c’è la casa della mia nonna materna, in cui i miei genitori trascorrono ancora gran parte dell’anno. Sono legata a questi luoghi in maniera intima. Quasi due terzi degli abitanti della Bregaglia sono di fede riformata. Ho da sempre un contatto diretto con tutti. Mi rendo conto che qualcosa è cambiato completamente. Pensate a Bondo. È un villaggio di duecento abitanti, dove la gente era abituata a vedersi tutti i giorni. Ora non ci si può più trovare in piazza. C’è un senso di tristezza e di smarrimento».

Che sentimenti trova tra la popolazione locale?
«La gente non ha ancora realizzato bene cosa sia accaduto. Ci sono attimi di grande tensione, alternati a momenti più calmi in cui emergono tante domande. Molti si chiedono cosa sarà di loro, se potranno tornare a casa, se potranno riavere le loro cose. E poi sorgono dubbi sul senso di tutto questo. C’è bisogno di calma e di conforto. Si vorrebbe un po’ di stabilità».

Qual è il suo compito in questa situazione?
«Con il mio collega Stefano D’Archino, cerco di stare vicina agli sfollati. Molte persone hanno semplicemente bisogno di parlare, di essere ascoltate. C’è un senso di impotenza diffuso. Ci sono cose che per il momento la gente non può ancora esprimere. Io sto vicina a queste persone e cerco di trovare con loro le parole per esprimere questa sofferenza».

Sotto la montagna, ci sono ancora otto dispersi. Se ne parla?
«Sì. La gente del posto non smette di pensarci. È un tema ricorrente nei colloqui che puntualmente ho con le persone del posto. Ci si fanno mille domande. E c’è chi teme che non sia finita. Si sa che potrebbero esserci nuove colate. Anche il fatto di essere isolati per giorni è insolito, difficile da immaginare nel nostro mondo tecnologico».

L’inverno si avvicina. Fa paura?
«La popolazione della Bregaglia sta imparando a vivere giorno per giorno. In alcuni c’è la paura di dovere abbandonare la regione. Anche perché gli esperti non sanno dare garanzie assolute».

Come si convive con questa incertezza?
«Integrare la dimensione dell’incertezza nella nostra vita è un passaggio estremamente difficile. Viviamo in una società dove si pensa di potere prevedere tutto e di avere tutto sotto controllo. Invece, fatti come questo ci dimostrano che rimane e rimarrà sempre una parte di imprevedibilità. Quando accompagno le persone, cerco di riflettere con loro proprio sull’incertezza e sulla precarietà della nostra esistenza».

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