Per risparmiare, si preferisce il supermercato, il take away o il cibo portato da casa. Crolla il fatturato dei ristoranti, -40%: pesano riduzioni del personale e tagli dei buoni pasto
LUGANO - Fino a poco tempo fa, era anche un'opportunità: magari per conoscere meglio i colleghi, familiarizzare con i superiori, rendere più gradevole la pausa fuori casa, da passare al bar o al ristorante per un pranzo insieme.
Si mangia alla scrivania - Una tradizione ormai stravolta in Svizzera, dove almeno una persona su tre ci ha rinunciato: preferendo al relax di un tavolo già apparecchiato gli spazi angusti di una scrivania, lo schermo di un computer dov controllare le e-mail e un piatto d'asporto del supermercato, da trangugiare in fretta e in solitudine. Se non un box lunch riempito degli avanzi della sera prima.
L'America è agli inizi, la Svizzera al tracollo - Per una volta, non è l'America ad anticipare la tendenza. Lì, nel 2016, il calo dei fatturati è stato del 2%, tanto da spingere i ristoratori ad alzare i prezzi (7,59 dollari in media, +19,5%) e ridurre le porzioni per provare a compensare. In Svizzera siamo invece già al tracollo: «Se si escludono le località turistiche, un po' meno penalizzate, lo scorso anno si è registrato un crollo del 40% dei fatturati – dice Massimo Suter, presidente di GastroTicino – La gente risparmia sui costi e preferisce il take away o un'insalata».
Un calo di 90 milioni di franchi - Anche quest'anno, il ribasso si annuncia consistente. «Parliamo di 80-90 milioni di franchi in meno, i tre quarti dei quali sono stati persi a mezzogiorno». Tagli del personale, minore disponibilità a rimborsare gli scontrini: «Le difficoltà della piazza finanziaria, con la riduzione del numero di impiegati che pranzano fuori, e le spese non più retribuite come una volta dalle aziende incidono», osserva Suter. Come conseguenza, però, qui «i prezzi sono scesi e hanno raggiunto livelli quasi insostenibili, sufficienti a stento a coprire i costi, pur di richiamare clientela». Inutile, anzi addirittura controproducente: «Se abbassi troppo le tariffe perdi credibilità. Le persone cominciano a chiedersi che cosa c'è nel piatto».
Prezzi al ribasso: e la qualità? - In effetti, la qualità è la prima a risentirne. Perché vere contromisure, riconosce Suter, non esistono. «Siamo in balia del mercato. Se all'industria e le banche va in questo modo, ai ristoranti non può andare meglio. È un serpente che si morde la coda». Così «si risparmia sul personale e sui costi della merce. A quel punto, però, invece di un cordon bleu precotto, la gente preferisce andare al supermercato o comprarsi un kebab».
Non cambiano i gusti, ma il budget - I cibi etnici hanno fatto invero grossa concorrenza: ma li si sceglie non tanto a ragione di gusti che cambiano, secondo Suter, quanto di budget. «Si spende meno per mangiare. Magari qualcosa in più per bere. Poi, è vero che c'è anche una corrente salutistica che magari semplicemente aspira a un'alimentazione più sana. Fatto sta che i pranzi di lavoro si fanno sempre meno, se non nelle grosse città come Zurigo e Basilea. Le altre soffrono».