Pink Cross lancia l’allarme discriminazione in Svizzera. Intanto nelle scuole si fa sempre più sensibilizzazione. Con qualche resistenza
BELLINZONA – «L’omosessualità spiegata ai bambini? Attenzione, perché poi magari diventano gay». Sembra una barzelletta. In realtà c’è chi lo pensa. Ne sa qualcosa Barbara Bonetti, coordinatrice del Gruppo di Lavoro per l’educazione sessuale nella scuola ticinese. E non c’è da meravigliarsi se dalle statistiche nazionali dell’helpline di Pink Cross emerge che in tre mesi sono arrivate più di cento telefonate di omosessuali vittime di violenze fisiche o verbali a causa del loro orientamento. «Da qualche anno – spiega Bonetti – la scuola ticinese sta insistendo anche sull’abbattimento degli stereotipi. E questo per evitare grandi sofferenze silenziose. La maggior parte di docenti e genitori è aperta alla discussione. Da parte di alcuni troviamo, invece, qualche resistenza».
Una questione educativa – La “rivoluzione” è stata attuata nell’ultimo decennio. Non solo grazie all’introduzione del nuovo “manuale” di educazione sessuale. «La questione – puntualizza Bonetti – prima era affrontata soprattutto da un punto di vista di salute pubblica. Nel corso dell’ultimo decennio, il tema dell’educazione sessuale è stato assunto sempre più dal Dipartimento dell’educazione. È un passo decisivo».
Stimoli da cogliere – Un team di dieci consulenti è a disposizione dei docenti. «Il libro “L’incontro” è indirizzato al secondo ciclo di scuola media – dice Bonetti – ma le discussioni, in realtà, dovrebbero iniziare già alla scuola dell’infanzia, come indicato dalle linee guida cantonali, ed essere presenti nell’arco di tutta la scolarità. L’insegnante deve essere bravo a cogliere gli stimoli che arrivano dai bambini».
Argomenti concreti – In classe si lavora in maniera trasversale e interdisciplinare sul concetto di identità sessuale. Sulle differenze tra bambini e bambine. Ancora Bonetti: «Ci si chiede, ad esempio, se è giusto pensare che le bambine non possano giocare a calcio. O che i maschi non possano giocare alle bambole. Aspetti molto concreti, che mirano prima di tutto a smontare i pregiudizi. Magari in classe qualcuno può arrivare a chiedersi se è possibile che due uomini si sposino. Gli insegnanti devono essere preparati a sapere trattare queste tematiche».
Più peso agli episodi di violenza – A livello svizzero, la consigliera nazionale Rosemarie Quadranti, proprio allacciandosi all’allarme di Pink Cross, ha di recente chiesto al Governo di fare in modo che agli episodi di omofobia venga dato più peso a livello di statistiche di polizia. «Perché – sostiene la stessa Quadranti – se la politica si rende conto che questo è un tema importante, allora sarà poi più facile farlo capire alle nuove generazioni. Finora si è sottovalutato troppo il problema, in tutti gli ambiti».
Frocio e lesbicona – Tesi confermata anche dai risultati del sondaggio “Benessere senza omofobia” (2010), condotto nelle scuole ticinesi da Zona Protetta. Il campione: 630 giovani. Età media: 15,9 anni. «Per 166 di questi – evidenzia Marco Coppola, coordinatore del progetto – l’omosessualità è da definire “contro natura”. Colpisce il fatto che il 57% del campione dichiara di sentire spesso parole come “frocio” o “lesbicona”. Il 45% sostiene che, di fronte a queste parole, nessuno interviene».
Parole che feriscono – Una mancata reazione che preoccupa Nicola Bignasca, autore del romanzo “L’arbitro arcobaleno”. Il libro denuncia l’omofobia nel mondo dello sport. «È una questione culturale – fa notare Bignasca – si pensa sempre che frasi come “Non fare la femminuccia”, oppure “Smettila di fare il finocchio”, possano essere pronunciate con leggerezza. A lungo andare, invece, creano emarginazione. Gli ambienti educativi devono essere consapevoli di questo. Non si può più fare finta di niente. Dobbiamo veramente aiutare il giovane che ha un orientamento omosessuale a vivere in maniera più serena la propria situazione».
Tempi prematuri – Non tutti condividono. E a volte, ad avere la meglio è la paura. Bonetti è chiara: «C’è chi teme che affrontando determinati argomenti si porti all’attenzione del bambino qualcosa che appartiene solamente al mondo degli adulti. Per alcuni questo significa anticipare i tempi. Altri sostengono che trattare queste tematiche possa condizionare l’orientamento sessuale del bambino. Insomma, i fantasmi che bloccano la discussione sono parecchi. In genere il dialogo, in primis tra scuola e genitori, permette di superare molte di queste paure, e di fare capire che il rispetto del bambino e del suo stadio evolutivo è la prima preoccupazione anche della scuola. La strada comunque è ancora lunga».