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BELLINZONADelitto di Daro: «Sulla pena del minore andava coinvolta anche la Serbia»

05.10.16 - 09:32
L’autore materiale dell’omicidio di Arno Garatti oggi è libero e i 4 anni di carcere sembrano non avergli portato effetti positivi. L’opinione di Nicolas Queloz, esperto di diritto minorile
Delitto di Daro: «Sulla pena del minore andava coinvolta anche la Serbia»
L’autore materiale dell’omicidio di Arno Garatti oggi è libero e i 4 anni di carcere sembrano non avergli portato effetti positivi. L’opinione di Nicolas Queloz, esperto di diritto minorile

BELLINZONA - Quattro anni di carcere senza avere imparato nulla. Non si spengono le polemiche attorno a D.D., oggi 21enne, autore materiale del delitto di Daro. Il giovane, ritenuto dai periti ancora pericoloso al momento della scarcerazione, oggi vive in Serbia. E da lì posta su Facebook immagini di armi che, di recente, hanno fatto discutere nella Svizzera italiana. In questi casi la legge, pur avendo a che fare con un minore, non dovrebbe essere più severa? E, visto il rischio di recidiva, non sarebbe stato il caso di trattenere il giovane? Lo abbiamo chiesto a Nicolas Queloz, esperto di diritto minorile e di tematiche carcerarie all'Università di Friborgo.

Professor Queloz, in casi estremi come quello legato a D.D. la legge non dovrebbe avere la mano più pesante?
La legge è la legge. In Svizzera quattro anni di carcere rappresentano il massimo della pena per un minore. I giudici hanno, appunto, espresso una sentenza di pena. Con la conseguente espulsione dalla Svizzera del giovane. Non erano state previste altre misure, nel caso in cui il ragazzo non avesse intrapreso un effettivo percorso di recupero entro i quattro anni di carcere. 

È stata, dunque, commessa una leggerezza al momento del pronunciamento della pena?
Non posso esprimermi su questo. So che in alcuni casi, alla fine della detenzione, se il giovane ripresenta problematiche che possono compromettere la sicurezza di altre persone, possono subentrare ulteriori misure tutelari, come accade per gli adulti. 

Al momento della sua scarcerazione, si è detto che la legge svizzera aveva fatto il suo corso. E che ora sarebbe toccato alla Serbia occuparsi del giovane. Cosa non avvenuta. Le sembra normale?
In questo caso, la Svizzera ha trattato solo il dossier penale. Ora, la Serbia non può più intervenire. È il principio del “ne bis in idem”. Forse sarebbe stato meglio fare scontare al giovane una parte di carcere in Svizzera e l'altra parte nella sua terra d’origine. Però questo dipende dagli accordi tra Svizzera e Serbia. Così sarebbe stato più semplice o normale per la Serbia occuparsi del ragazzo.

Quattro anni di carcere come pena massima dopo un omicidio così cruento. Non le sembra poco?
Stiamo parlando di un caso raro. Estremo. Circa una ventina di giovani all'anno sono internati in strutture carcerarie per reati gravi. Gli omicidi sono in media meno di uno all'anno. Il nostro è un sistema carcerario che vuole essere costruttivo. In quei quattro anni si vuole fare capire al ragazzo i propri sbagli. E fare in modo che intraprenda uno studio, una formazione. Si vuole dare una seconda possibilità a chi ha commesso un errore. 

Sì, però D.D. questa possibilità non l'ha colta. Sono stati gli stessi esperti, che l'hanno esaminato poco prima della scarcerazione, ad ammetterlo.
Mi risulta che il ragazzo abbia cambiato ben quattro strutture carcerarie. E in ognuna di queste ha rifiutato di cambiare strada. Però nelle nostre carceri per minori si fanno grossi sforzi. Prendiamo, ad esempio, quello di Palézieux, nel canton Vaud. Lì la metà dei dipendenti è composta da educatori, maestro socio-professionali. Persone che desiderano dare la possibilità al giovane di invertire la rotta. Nel 90% dei casi questo avviene. 

Perché nel caso di D.D. le cose non sono funzionate?
Questo giovane forse ha disturbi profondi. Magari legati alla sua infanzia. La delinquenza giovanile in Svizzera da qualche anno è in calo. Si tratta di un caso singolo. E non possiamo cambiare la legge per un caso singolo. Forse andavano presi altri provvedimenti, questo sì. 

Vale a dire?
La Svizzera l'ha giudicato, l'ha condannato e gli ha fatto scontare la pena qui. La Serbia in tutto questo non è stata coinvolta. Se oggi il giovane, ritenuto ancora potenzialmente pericoloso, è in completa libertà, non penso che sia per responsabilità della Serbia. Forse questa situazione andava ipotizzata con anticipo.  

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