Al valico stradale di Ponte Chiasso viene rimandata in Italia la gran parte di coloro che tentano illegalmente l’ingresso in Svizzera, per il piccolo comune è crisi migranti
COMO - Semba, 26 anni, dal Gambia. L’ho incontrato a Ponte Chiasso questa mattina. Seduti su un marciapiede abbiamo atteso che anche suo fratello minore terminasse le procedure di riammissione in Italia secondo gli accordi di Dublino. Con noi alcuni connazionali e un nigeriano. «Abbiamo dormito in Svizzera, a Balerna, in un sotterraneo», racconta. Il loro ultimo tentativo di passare il confine, infatti, è stato ieri sera. Ma a quell’ora l’Ufficio di riammissione di Ponte Chiasso è chiuso, così per la notte del gruppetto si sono occupate le Guardie di confine elvetiche, che l'hanno ospitato per la notte in un centro della Protezione civile. Il mattino i giovani vengono accompagnati alla porta. Oggi le Guardie di confine stavano usando dei furgoni di un’azienda privata, il che significa che i mezzi in dotazione al corpo non sono sufficienti.
Braccialetti azzurri - Semba semplifica, per lui tutti quelli in divisa sono «police». La procedura è sempre la stessa, si sale su un treno e si tenta la sorte. «Non è andata bene, ci hanno fatti scendere, preso le impronte digitali, fatto una foto e messo questo», continua. Parla di un braccialetto azzurro, numero, nome, cognome. Un po’ come quelli che ci vengono messi al polso in ospedale. È facile immaginare che quello blu significhi espulsione diretta. «Qui è chiuso, non ci vogliono. I soldi sono finiti, non abbiamo più niente. Vorremmo solo andare avanti e trovare un posto dove farci una vita». Poi è il mio turno di essere intervistato. Dove abiti? Hai figli? E, la domanda più difficile, perché non ci lasciano passare? «Avevamo sentito che l’Europa aveva deciso di lasciarci entrare», dice con un filo di rabbia. È impossibile immaginare quale confusione informativa possa esserci tra questi ragazzi. Si passano i telefoni uno con l’altro per fare qualche chiamata, chissà cosa si dicono? Chissà da dove proveranno a passare la prossima volta?
In Italia per… - Sono mesi che Semba e il fratello sono in Italia. «Non possiamo rimanere qui. Gli italiani con i documenti in regola ci dicono che non c’è lavoro per loro. Chi fa lavorare noi che di documenti non ne abbiamo?». L’unico pezzo di carta che Semba si porta appresso è un foglio della Polizia italiana. Anche qui, nome, cognome, nazionalità. C’è anche una domanda a scelta multipla: «Venuto in Italia per...». Lavoro, raggiungere i famigliari, fuggire dalla povertà, asilo, altro. Non c’è nessun visto, probabilmente anche l’agente di polizia ha lasciato perdere. Esce anche il fratello, medesimo braccialetto, medesimo foglio. Chiedo a Semba se posso scattare loro una foto. «Per favore no. Sento molto stress oggi. E se ci metti sul giornale, se ci vedono tutti, forse è ancora peggio».
Statistiche non ufficiali - Mi sposto un po’ più in là: alla prima fermata dell’autobus dopo la dogana. Incontro tre somali. Aspettano un autobus per andare a Como. Anche a loro la Svizzera ha appena detto di no. «È la terza volta che ci provo», racconta il più giovane del gruppo, 18 anni, in Italia da due. Ma qualcuno riesce ad arrivare in Svizzera? «Sì, il 15%», risponde con la sicurezza di chi lavora per un istituto di sondaggi. Probabilmente la percentuale gliel’ha detta un passatore, o qualcun altro che ha trovato il modo di lucrare su questi disperati Ulisse. «A casa mia c’è la guerra, non c’è democrazia, voglio solo trovare un posto da chiamare casa. In Germania ho dei parenti».
È il sistema - Entro in un bar, ai tavolini non si parla d’altro. Da qualche giorno a Ponte Chiasso via Bellinzona potrebbe chiamarsi via Dublino. Qui si possono toccare con mano gli accordi che regolano la migrazione europea. Il barista ci spiega tutto con il sintetismo tipico della professione: «È povera gente, non è colpa loro, è colpa del sistema». Qualche metro più in su raggiungo piazzale Anna Frank. «Da un paio di notti dormono qui», mi dice la gerente dell'albergo di fronte. «Ma non disturbano, non fanno niente di male. Mi fanno solo un po’ di tristezza».
Rimbalzati al Centro Ovale - Passano la notte nel parco e qualcuno alle prime luci dell’alba prova a trovare vie alternative verso la Svizzera. Lunedì all’alba le Guardie di confine hanno fermato un gruppetto che, passando per i piazzali del valico commerciale, aveva raggiunto la zona del Centro Ovale. Niente da fare nemmeno questa volta. Al polso un altro braccialetto, sempre blu. La Svizzera deve attendere, si torna a Ponte Chiasso.