Il direttore dell'Associazione industrie ticinesi accusa le autorità cantonali di non avere un piano «B» per far fronte al pericolo delocalizzazione
BELLINZONA - Il Ticino economico alla costante ricerca di un'identità economico e produttiva è alle prese con il pesante fardello del franco forte.
Le notizie recenti di aziende che lasciano il Ticino, hanno riacceso il dibattito sul futuro dello sviluppo economico nel nostro cantone.
In questo territorio fragile, che dipende spesso da iniziative imprenditoriali provenienti dall'estero e da fuori cantone, si leva oggi una voce, quella di Stefano Modenini, che invita a non esultare troppo per le partenze di aziende dal territorio cantonale.
In un intervento pubblicato sul Corriere del Ticino, il direttore dell'Associazione industrie ticinesi accusa in sostanza le autorità cantonali di non avere un piano B per far fronte ad un ipotetico cedimento dell'economia ticinese e a un esodo di aziende verso l'estero.
Modenini critica quel Ticino che negli ultimi anni ha fatto credere di potere un giorno riuscire ad avere sul proprio territorio aziende tecnologicamente avanzate e da posti di lavoro ad alto valore aggiunto e ben pagati e «che ha criminalizzato gli imprenditori, definiti arbitrariamente degli sfruttatori della manodopera, dopo aver disprezzato gli stabilimenti industriali tacciandoli di capannoni».
La realtà è ben diversa. Ed ora che le aziende stanno cominciando ad andarsene o a chiudere (Modenini ad inizio marzo aveva previsto la delocalizzazione di sette-otto aziende produttive) ci si accorge che, in poche settimante, «in Ticino sono spariti quasi 200 posti di lavoro».
Il direttore degli industriali in Ticino parla di occupazione ristagnante ed investimenti in calo. «In un cantone dove 50.000 persone non pagano imposte e dove una piccola minoranza di contribuenti e di aziende regge una parte importante del gettito d'imposta complessivo - si legge nel suo intervento - continuare con questo gioco al massacro dell'economia è da criminali».
Per Modenini sarebbe meglio «fare della Lombardia un alleato strategico» e non fare la guerra all'Italia e teme che un giorno i ticinesi rimpiangeranno l'accordo sulla tassazione dei lavoratori frontalieri del 1974, «perché il risultato di aver continuato a tirare la corda con Berna e l'Italia saranno minori incassi fiscali per il Ticino». Il timore implicito, inoltre, è che il lavoratore frontaliere che vedrà il suo carico fiscale aumentato in Italia, si rifarà sul suo datore di lavoro, chiedendogli più soldi in busta paga. Un timore questo che metterebbe a repentaglio l'attrattiva del Ticino in termini di costi del lavoro.