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TICINOTra i drogati anche bancari, politici e avvocati

17.02.10 - 10:04
Nel mondo della tossicodipendenza un sottobosco di personaggi più o meno autorevoli soffre in silenzio. Gli esperti: "Non abbiate paura di chiedere aiuto".
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Tra i drogati anche bancari, politici e avvocati
Nel mondo della tossicodipendenza un sottobosco di personaggi più o meno autorevoli soffre in silenzio. Gli esperti: "Non abbiate paura di chiedere aiuto".

LUGANO – Dici ‘tossicodipendenza’ e la prima immagine a cui si pensa è quella di un gruppo di giovani arroccati sulle panchine dei parchi di Locarno o appoggiati ai muri della stazione di Lugano. La realtà, però, è un’altra. Tra chi ha problemi di droga c’è anche un buon numero di avvocati, politici, bancari, impiegati… Gente insospettabile. Magari con famiglia. Che vive senza avere il coraggio di parlare del proprio problema. Accade soprattutto a Lugano. “Per queste persone – ammette Lorenzo Pezzoli psicologo e capo servizio di Ingrado sostanze illegali – è molto più difficile uscire allo scoperto. Perché sentono di avere una posizione sociale da tutelare. Una reputazione e un lavoro da mantenere”. “L’appello – gli fa eco Pelin Kandemir Bordoli, di Radix – è quello di non avere paura di chiedere aiuto”.
 
Tensione nascosta – Il fenomeno è stato dipinto di recente anche da un articolo del periodico Confronti, a cui un cocainomane della ‘Lugano bene’ ha rilasciato una testimonianza. Proprio la città sul Ceresio, stando alle statistiche, sarebbe seconda in Europa solo a Milano e a Londra per quanto riguarda il consumo di sostanze stupefacenti. Alcuni iniziano per noia. Altri per sentirsi più potenti. Altri ancora per tentare di superare un periodo difficile. “Non ci sono settori professionali completamente esenti da questa piaga – riprende Pezzoli –. Anche se quantificare mi risulta difficile. Quelli che si rivolgono ai nostri servizi potrebbero anche rappresentare la punta dell’iceberg. Per quanto riguarda persone particolari, spesso le segnalazioni ci arrivano da parenti e amici. Non è sempre evidente chiedere un aiuto su un problema di dipendenza. Sovente si rinuncia a usufruire della consulenza rimandando la questione”. Con il tempo, però, le problematiche si acutizzano e l’intervento, in seguito, può risultare più complesso. “La difficoltà nel chiedere aiuto – fa notare Pezzoli – è sintomatica di una società che valorizza ‘l'uomo che non deve chiedere mai’. Invece la forza di un individuo sta proprio nel saper chiedere aiuto. In più nella nostra società la dipendenza da sostanze è vista sotto la luce riprovevole del vizio e non sotto quella compassionevole della sofferenza. E ci sono la sofferenza, il disagio, l’incapacità a far fronte alle proprie difficoltà interiori alla base di queste situazioni”.

Orgoglio e pregiudizi - La paura di perdere il posto di lavoro, di far vacillare la stima di famiglia, amici e conoscenti, di essere screditati a livello sociale. “In generale – conferma Kandemir Bordoli – il tossicodipendente diffida dei servizi di consulenza per motivi di orgoglio o perché pensa che tanto di soluzioni non se ne possono trovare”. “O anche perché – aggiunge Pezzoli – è convinto che quello che sta facendo sia buono per lui. Soprattutto nelle fasi iniziali di approccio alla sostanza, quando gli aspetti percepiti come favorevoli sono superiori rispetto a quelli negativi”.

Società dipendente – Una società frenetica, in cui le insidie sono nascoste ovunque. A certi livelli lavorativi si chiede sempre di più al professionista. Dall’efficienza alla formazione continua. “Già di per sé – sottolinea Pezzoli – oggi c’è una certa abitudine a prendere pastiglie per ogni cosa, a volte prima ancora di capire dove stia il problema. Queste ‘stampelle farmacologiche’, e soprattutto l'atteggiamento che ne orienta l'utilizzo, rappresentano un primo livello di rischio rispetto la dipendenza, tutt’altro che trascurabile”. Certo, da qui a passare alla droga ce ne vuole. Ma è l’atteggiamento a essere già predisposto per lanciarsi su terreni minati. “Spesso chi inizia ad assumere droga – dice Kandemir Bordoli – pensa di saperne gestire gli effetti. Lo fa per provare qualcosa di nuovo, per uscire dalla routine della vita. E soprattutto crede di essere immune da un’eventuale dipendenza. Invece, il passo è molto più breve di quanto sembri”.

 

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