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L'INTERVISTAI muscoli nella vita e in amore. Giorgio Pasotti parla di sé e di Andrea in «Quale amore»

10.08.06 - 07:39
Fotofestival
I muscoli nella vita e in amore. Giorgio Pasotti parla di sé e di Andrea in «Quale amore»

LOCARNO La proiezione di Mon frère se marie di Jean-Stéphane Bron, martedì sera a conclusione del­la « Giornata svizzera » , ha fat­to segnare un nuovo record per la Piazza Grande nel 2006: 7900 spettatori l’hanno infat­ti applaudito con convinzione. Oggi la giornata sarà caratte­rizzata dall’omaggio al regista finlandese Aki Kaurismäki al quale il Festival ha dedicato una retrospettiva sempre affol­latissima ed applaudita e del quale sarà proiettato in Piazza Grande l’ultimo lungometrag­gio Lights in the Dusk, già visto al Festival di Cannes.
Ieri sera invece la Piazza ha ospitato la coproduzione italo­svizzera Quale amore di Mauri­zio Sciarra, ambientata a Luga­no, e della quale è protagoni­sta l’attore Giorgio Pasotti che abbiamo intervistato.

La popolarità che deriva dal piccolo schermo è un patrimo­nio di tutto rispetto per un atto­re; ne è ben consapevole Giorgio Pasotti, noto al grande pubblico forse più per serie televisive co­me Distretto di Polizi­a o la più re­cente
E poi c’è Filippo, che per le sue prestazioni cinematografiche di tutto rispetto, come Dopo Mez­zanotte o Volevo solo dormirle ad­dosso
. « Io ho lavorato molto di più per il cinema che per la tele­visione, ma non faccio distinzio­ne tra cinema, televisione, teatro­. Quello che conta non è il mezzo, ma il prodotto».

Eppure c’è una differenza, tra i mez­zi: un’interpretazione in televisione non è più realistica?
« I giovani registi oggi, da Mucci­no in poi, richiedono un’inter­pretazione sempre più naturali­stica. E questa, d’altra parte, non è stata inventata oggi, ma è nat­a col neorealismo. Il tipo di inter­pretazione dipende dal ruolo, non dal mezzo».
In Distretto di polizia, a un certo pun­to, ti hanno fatto morire: è stata una tua scelta per uscire dalla parte?
«Sì dopo due anni mi sono satu­rato: non bisogna mai concepire il nostro come un lavoro d’ufficio­, altrimenti mancano gli stimoli».
Come ti accosti allora a una parte: conta di più la preparazione o l’im­provvisazione?
« Mi preparo in maniera spasmo­dica, cercando di studiare il più possibile il soggetto, cercando un’immedesimazione totale, in modo poi da entrare talmente nel personaggio che le reazioni di­ventano immediate, automati­che ».
Quanto passa dell’esperienza emo­tiva e di vita di un attore nel perso­naggio?
« Non esisterà mai un personag­gio in cui tu non possa cogliere qualcosa di te. Ad esempio i due bambini della mia compagna (Nicoletta Romanoff, ndr.) mi hanno insegnato a riconoscere in me la paternità e questo mi ha permesso di esprimerla ad esem­pio nel personaggio di Andrea, in Quale amore ».
Tu condividi l’assunto del film sull’in­capacità di certi giovani di rielabo­rare un rapporto di continuità, e di integrare anche gli insuccessi in una storia di coppia?
« Assolutamente sì, sto da tre an­ni con una compagna e sono sempre alle prese con le spine della quotidianità. Condividere un’intera vita con una persona implica proprio la capacità di rie­laborare e di correggere tutto ciò che va storto. Per questo, nono­stante la sceneggiatura del film sia tratta da un romanzo dell’800, si tratta di una storia attuale che­, nelle sue forme estreme, viviamo ogni giorno attraverso le pagine della cronaca. Quindi per il mio personaggio ho cercato di esser­e il meno colorito possibile, di reci­tare in mono-tono. Era importan­te non eccedere, non farne un pazzo psicopatico o una mac­chietta vittima della follia. La dif­ficoltà più grossa è stata questa­: rendere la lucidità dell’approccio al male».
Tu sei un campione di arti marziali. Sei stato cintura nera a tredici anni e sei partito per la Cina dove sei ri­masto due anni per perfezionarti. Che ruolo ha oggi lo sport nella tua car­riera?E che cosa ti ha portato a vol­tare pagina?
« Ho dovuto ahimé abbandonare lo sport, sia per il lavoro che pe­r l’età: a trentatre anni uno è vec­chio per quelle discipline. Quel mondo mi manca molto; mi mancano i successi sportivi, emo­zioni che il lavoro non ti sa dar­e (Pasotti è stato medaglia d’oro d­i Wushu con la maglia azzurra a­i campionati europei, ndr.). Però quell’esperienza mi aiuta molto nella preparazione di tutti i miei personaggi. Parto sempre da lì, dalla capacità di muovere il mio corpo in un determinato spazio.
Al cinema sono arrivato un po­’ per caso; io volevo diventare me­dico. Quando ero in Cina, dove frequentavo un’accademia per la formazione sportiva, mi è stat­o chiesto se volevo girare un provi­no con una società di produzione di Hong Kong che cercava un vol­to occidentale per un film. Cos­ì ho cominciato».
Cosa vedremo di tuo prossimamente?
« Ho finito di girare un film di Ma­rio Monicelli, Le rose del deserto che speriamo sia pronto per il Fe­stival di Roma e sto girando con Alessandro Angelini L’aria sala­ta ».
 
 Mariella Delfant­i
 


 

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