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LOCARNOBertoglio: "Sono un sopravvissuto, ma oggi ho trovato la serenità"

05.08.05 - 10:20
Bertoglio: "Sono un sopravvissuto, ma oggi ho trovato la serenità"

Sono stati 5.400 gli spettatori che mercoledì sera hanno assistito alla proiezione di The Rising, il film indiano che ha inaugurato ufficialmente il programma di Piazza Grande. Ieri invece fra gli eventi che hanno caratterizzato la giornata c’è stato l’incontro con la giornalista italiana Giuliana Sgrena che, invitata per la sezione Diritti umani, ha parlato della sua drammatica esperienza in Iraq. Oggi, alla 58. edizione del Festival del film sarà il giorno tradizionalmente dedicato alle istituzioni culturali del nostro Paese. A Locarno sono attesi il Consigliere federale Pascal Couchepin, il direttore dell’Ufficio federale della cultura Jean- Frédéric Jauslin e il nuovo capo della Sezione cinema dell’UFC Nicolas Bideau. Per quanto riguarda il programma, quest’oggi si presenta Face Addict, nuova opera del ticinese Edo Bertoglio raccontata dal regista nell’intervista qui di seguito.

W alter Steding, Glenn O’Brien, John Lurie, Maripol, Deborah Harry, Wendy Whitelaw: Edo Bertoglio, questi sono i principali testimoni dell’epoca « bella e dannata » della Downtown Scene che appaiono nel suo film. Ne ha incontrati molti altri?
« No, mi sono concentrato su quelli che considero gli “ amici del cuore”, mentre Victor Bockris ( scrittore e biografo di Andy Warhol, di Lou Reed, dei Ramones e grande amico di William Borroughs; ndr.) che ho sempre considerato una personalità molto importante, ha voluto partecipare al film proprio perché sentiva di avere quelle due o tre cose fondamentali da dirmi su quell’epoca » .

   All’inizio del film lei si definisce un « sopravvissuto » .

   « Sì, io mi considero una persona nata con la camicia e per di più anche stirata, perché quando ripenso a tutti i rischi che ho corso in quella fase della mia vita mi rendo conto che devo aver avuto un angelo custode che mi seguiva ovunque. Tanti amici miei non ce l’hanno fatta e sono morti in circostanze anche molto tragiche. Se uno ha l’Aids c’è tutto un percorso d’accompagnamento verso la morte però c’è anche gente che è morta per strada, colpita da una mazza da baseball perché non voleva mollare venti dollari. Quando penso a tutto  questo non posso che sentirmi una persona privilegiata: sono qui a parlarne, sono in buona salute, mi sono ricostruito una vita, ho sposato una donna meravigliosa. Posso dire di aver trovato la serenità: parola che non aveva mai fatto parte finora del mio vocabolario » .

   E tutto ciò grazie anche al fatto di essere tornato là da dove era partito?
« È importante avere delle radici, anche se non l’avrei mai pensato. Io mi ero staccato da Lugano pur tornandoci episodicamente, ma il mio recupero è passato anche attraverso il contatto con la natura, il fatto di avere un cane, di andare con lui nei boschi. A New York, per andare in un bosco ci vogliono almeno tre ore di macchina » .

   Il passato continua però a irradiare anche energie positive.
« Certo, se penso a Jean- Michel Basquiat mi arriva la sua passione per il lavoro. Lavorava tutto il tempo: appena trovava un foglio e dei colori era dentro il suo mondo » .

   E oggi, dopo la « ricostruzione » , quali sono i suoi progetti?
« Penso sia giunto il momento di rimettere seriamente mano al mio archivio con lo scopo di produrre un libro che presenti le foto e dei brevi testi di “ ricordi”.
   Grazie alla voce off di Face Addict mi sono avvicinato alla scrittura e per me questa è davvero una “ prima” » .

Antonio Mariotti

D oppia « prima » quest’oggi al Festival. Se nessuno ricorda che un film della selezione ufficiale sia mai stato presentato quale evento speciale fuori concorso, ciò nulla toglie all’importanza della selezione di
Face Addict
, il nuovo lungometraggio del regista ticinese Edo Bertoglio ( una coproduzione italo svizzera) che si potrà scoprire in anteprima assoluta oggi alle 16.15 al Fevi.
   All’autore di
Downtown 81
– il film con Jean- Michel Basquiat in veste di protagonista, girato 25 anni fa e visto per la prima volta nel 2000 al Festival di Cannes – che ha vissuto per quattordici anni a New York ( tra il 1976 e il 1990) lavorando come fotografo per riviste quali Rolling Stone, Vogue, Vanity, Spin e Art Forum abbiamo dapprima chiesto cosa l’abbia spinto a riaprire i suoi archivi e di conseguenza, come dice nel film, a riaprire gli occhi e quindi a riprendere a fare film e a fotografare. « Non è che negli ultimi quindici anni non abbia più girato film o non abbia più scattato fotografie, perché il gusto e la passione li avevo sempre dentro ma non ho mai avuto un progetto articolato. Ritornando ai miei archivi mi sono reso conto di averlo sempre avuto, ovvero questo grande “ catalogo di facce”. In realtà ho lasciato Lugano, per andare dapprima a Parigi e poi a New York, perché mi mancava la “ materia prima” ovvero quei personaggi che si mettono in scena, che hanno dei punti di riferimento nel mondo del cinema o in altri campi dell’arte. È chiaro che a Parigi e poi soprattutto a New York tutti questi ragazzi e ragazze erano ovunque » .

   E oggi, ci sono ancora o si mettono in scena per altri motivi?
« Oggi lo stimolo che li spinge a comportarsi così non proviene più, ad esempio, dal mondo del cinema ma piuttosto dalle riviste di moda, dal marketing, dalla pubblicità, dalla televisione...
   Adesso Prada è dappertutto! » .

   Ma per lei come « produttore d’immagini » cambia qualcosa?
« Beh, le facce sono facce e il mio interesse è per la forma e  soprattutto per lo sguardo. Se nelle mie
Cult Figurines
del passato si poteva intravedere anche il vestito o comunque la messa in scena, penso che le mie prossime foto saranno veramente dei primi piani » .

   Questo suo interesse per i volti è sintetizzato bene dal titolo del suo film: Face Addict
, che si potrebbe tradurre come « Facciadipendente » , come ci è arrivato?
« C’è da dire che questo progetto ha cambiato almeno tre o quattro volte titolo anche perché si è sviluppato sull’arco di due anni nel corso di tre viaggi a New York. È stato visionando il materiale girato che il film si è avvicinato sempre di più a una ricerca esistenziale da parte mia che non riguardava solo il passato e i miei amici ma doveva essere anche funzionale a una mia “ rinascita” artistica.
   Era importante per me rivisitare questo periodo per potermi staccare da un’esperienza che era finita con la dipendenza dalla droga, tanto che a un certo punto l’esperienza artistica è  scomparsa ed è rimasta solo la droga. Per poter ricominciare oggi un’esperienza artistica dovevo quindi sentirmi completamente libero da qualsiasi influenza legata al passato » .

   Questo aspetto introspettivo era già presente nel progetto originario?
« No, assolutamente. All’inizio sono partito stampando trecento fotografie dei miei archivi che mi suscitano ancora oggi molte emozioni e pensando di usarle come veicoli per far ritornare in superficie i ricordi di quelli che erano i miei amici.
   Quasi subito, però, mi sono reso conto che questo meccanismo non funzionava, o che funzionava con qualcuno ma non con molti altri. Ciò mi ha portato a interrogarmi in profondità sui motivi che mi spingevano a fare queste foto e sulle sensazioni che provavo nel rivederle oggi » .

   Ma quelle foto erano come uno schermo che la divideva in un certo senso dagli altri?
« Proprio così, e ciò mi ha portato a prendere un’altra strada e a mettermi maggiormente al centro del film anche attraverso l’uso della mia voce fuori campo » .
 

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