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RUTH WALDBURGER«Dobbiamo lavorare con l’Europa»

12.08.03 - 08:25
«Dobbiamo lavorare con l’Europa»

Dopo i girasoli di Calendar Girls, neanche domenica sera sono mancati i fiori in Piazza Grande, ovvero quelli offerti da Marco Solari ( a nome di tutto lo staff del Festival) a Irene Bignardi per il suo sessantesimo compleanno. « Ho cercato di far spostare la data – ha scherzato il direttore – ma proprio non è possibile e quindi dovrete ancora festeggiarmi per un po’ di anni».E un anno intero è poi quanto i 7.600 spettatori presenti hanno visto scorrere sul grande schermo durante i 12 minuti del sorprendente cortometraggio A Year along the abandoned Road del regista norvegese Morten Skallerud. 12 minuti di magia accompagnati dalla musica evocativa di Jan Garbarek. Stasera, il programma della Piazza prevede due film: il francese Le coût de la vie e For Ever Mozart di Jean- Luc Godard, prodotto da Ruth Waldburger, Premio Raimondo Rezzonico 2003, che abbiamo intervistato. 
L a sua filmografia conta diverse decine di titoli molto diversi tra loro: da opere di Jean- Luc Godard come 
Nouvelle vague    Eloge de l’amour,  a  Smoking/ No Smoking, On connaît la chanson  all’atteso  Pas sur la bouche  di Alain Resnais, da  Il passo sospeso della cicogna  di Theo Anghelopolous al Pardo d’oro 1991 
Johnny Suede  di Tom DiCillo, da  Lamerica  di Gianni Amelio a  Le acrobate  di Silvio Soldini, senza scordare però anche alcuni dei più grandi successi di pubblico a livello svizzero ( tedesco) degli ultimi anni come le commedie  Komiker, Katzendiebe  o  Ernstfall in Havanna. 
Stiamo parlando della produttrice zurighese Ruth Waldburger, seconda laureata ( dopo il portoghese Paulo Branco) del Premio Raimondo Rezzonico istituito lo scorso anno dal Festival. Il riconoscimento le verrà consegnato questa sera in Piazza Grande, prima della proiezione del film  For Ever Mozart  di Jean- Luc Godard.

Signora Waldburger, come si è avvicinata al cinema e quando ha deciso di diventare produttrice? 
« Ho iniziato a lavorare alla televisione svizzero- tedesca con Roger Schawinski per l’emissione 
Kassensturz,  ma sono venuta a contatto con il mondo del cinema attraverso il mio primo marito, Alain Klarer, che era cineasta e assistente di Alain Tanner. Così ho fatto la stagiaire sul set di  Messidor  di Tanner, ma non è stata un’esperienza entusiasmante anche perché non riuscivo a capire l’alchimia di una troupe cinematografica. A poco a poco però, dopo altre esperienze, ho cominciato ad entrare di più nell’ottica del cinema, soprattutto quando ho iniziato a lavorare come direttrice di produzione e, a quel momento, ho capito che il ruolo che mi si addiceva di più era quello di produttrice » . 

Già negli anni ’ 80, i meccanismi di coproduzione tra la Svizzera e gli altri paesi funzionavano come oggi? 
« Direi di sì, esistevano già degli accordi di coproduzione con la Francia e con l’Italia, ma a metà degli anni Ottanta mi è capitato di lavorare anche con il Canada per 
Candy Mountains 
di Robert Frank. Quasi subito sono però entrata nell’ottica di lavorare su scala europea » . 

Il fatto che la Svizzera abbia detto di « no » all’Europa ha complicato la vita dei produttori? 
« No, perché gli accordi che esistevano prima sono rimasti validi. Credo che molti produttori svizzeri soffrano soprattutto di un blocco a livello psicologico che li fa sentire isolati, esclusi dall’Europa, ma praticamente si può lavorare bene in un contesto europeo » . 

Lavorando in contesti nazionali diversi, avrà senz’altro conosciuto mentalità diverse anche in ambito cinematografico.
Esiste, in questo senso, un cinema veramente europeo? 
« Le differenze esistono, è chiaro. Gli italiani, ad esempio, sono forse un po’ meno organizzati degli altri, ma per me lavorare con l’Italia significa produrre dei film che avranno una buona rispondenza anche in Svizzera.
Migliore, ad esempio, dei film francesi, che si vedono quasi solo in Romandia. 

Ladro di bambini 
di Gianni Amelio, ad esempio, ha fatto registrare lo stesso numero di spettatori in Svizzera e in Germania » . 

Che differenza c’è tra il collaborare con registi di grande fama come Godard o Resnais e il lavorare con dei giovani alle prime armi? 
« Devo prima di tutto dire che ho imparato tutto da Jean- Luc Godard, che non è soltanto un grande regista ma anche un grande produttore, qualcuno che conosce perfettamente tutti i meccanismi della macchinacinema. Chiaramente, lavorare con un giovane regista è diverso perché si tratta di instaurare un rapporto di complicità per raggiungere il miglior risultato possibile » . 

Spesso le coproduzioni minoritarie svizzere vengono presentate ai grandi festival senza che questo fatto venga nemmeno menzionato. È una cosa che la fa arrabbiare? 
« Arrabbiare no, ma trovo sia stupido, poiché una coproduzione è un film che ha la nazionalità di tutti i paesi che vi hanno partecipato, non solo quella del regista. E questo vale naturalmente anche per i cineasti svizzeri, poiché non ci sono più soldi a sufficienza nel nostro paese per fare fiction senza coinvolgere altri paesi in misura maggioritaria. In questo momento, sto producendo una giovane regista svizzera, Léa Faser, che sta girando il suo primo film, ma solo il 20 per cento dei soldi viene dal nostro paese. Non avrebbe mai potuto girarlo senza l’apporto francese, anche se si intitola...  Le voyage en Suisse » . 

Tornando a Godard e a Resnais: il fatto di collaborare con loro, significa che per lei la Nouvelle Vague ha rivestito una grande importanza? 
« No, sono troppo giovane per aver conosciuto la Nouvelle Vague e per di più sono cresciuta in Appenzello dove non c’erano cinema e quindi questi film li ho scoperti solo più tardi, quando sono venuta le prime volte a Locarno » . 

E oggi è il Festival a ricompensarla come produttrice. È importante questo premio per la categoria? 
« Certo, molto importante e credo che Raimondo Rezzonico sarebbe molto felice di sapere che è stato creato questo premio alla sua memoria. Per me Locarno è sempre stato un festival importante, dove i miei film hanno ricevuto anche diversi premi » . 

Antonio Mariotti, CdT

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