La Camera dei cantoni ha accolto l'idea (27 voti a 13) di introdurre delle "quote rosa" anche nelle direzioni delle imprese quotate in borsa e non solo nei CdA
BERNA - L'imponente sciopero delle donne di venerdì scorso, cui ha partecipato mezzo milioje di persone, ha fatto breccia oggi al Consiglio degli Stati che, affrontando la revisione del diritto della società anonima (approvata in votazione finale per 29 voti a 9), ha accolto l'idea di introdurre delle "quote rosa" anche nelle direzioni delle imprese quotate in borsa, e non solo a livello di consigli di amministrazione.
Nel giugno del 2018, il Consiglio nazionale aveva approvato seppur di misura - 95 voti a 94 e 1 astenuto - la proposta secondo la quale, in futuro, il 30% dei posti nei cda delle aziende quotate in borsa fossero riservati alle donne. A livello di direzione tale quota doveva essere del 20%.
Oggi gli Stati si sono adeguati a questa soluzione per 27 voti a 13, contro il parere della commissione preparatoria, favorevole solo all'obiettivo del 30% negli organi di sorveglianza. Con una maggioranza confortevole, il plenum ha quindi optato per la proposta di minoranza difesa da Anne Seydoux (PPD/JU) e sostenuta in aula anche dalla consigliera federale Karin Keller-Sutter.
Che il vento avesse cambiato direzione si era però capito già durante il dibattito prima del voto, grazie all'alleanza tra il campo rosso-verde e il PPD, formazioni che dispongono di una confortevole maggioranza alla camera dei cantoni.
Un segnale per le donne - Dopo lo sciopero delle donne della settimana scorsa, diversi oratori hanno spiegato la necessità, se non l'obbligo, di inviare un segnale di speranza a tutte quelle donne scese nelle strade per chiedere maggiore uguaglianza e alla popolazione che ha sostenuto questa azione.
"Diciamo loro che le ascoltiamo", ha esclamato Christian Levrat (PS/FR), aggiungendo che la Svizzera in materia di uguaglianza uomo-donna ha ancora molto da fare, come dimostrano le quote ancora modeste di donne nei Cda (21% al 2018) e nelle direzioni delle grandi aziende (9% al 2018). Si tratta insomma di adeguare la legislazione ai tempi che cambiano, hanno sostenuto altri, invece di nascondersi dietro singoli paragrafi della legge in discussione.
Diversi "senatori" del PS e del PPD hanno poi fatto notare che le misure previste dalla legge non prevedono quote fisse di donne, bensì valori di riferimento che le aziende sono libere o meno di implementare.
Nessun obbligo - Stando all'articolo in questione (734 f), nella misura in cui ciascun sesso non sia rappresentato almeno al 30% nel consiglio d’amministrazione e al 20% nella direzione di una società, il rapporto sulle remunerazioni dovrà spiegare i motivi per i quali i sessi non sono presenti come previsto e i provvedimenti per promuovere la partecipazione del sesso meno rappresentato.
Tale disposizione, ha sottolineato la ministra di giustizia e polizia, Karin Keller-Sutter, diverrebbe obbligatoria per le circa 200-250 società interessate cinque anni per i Cda dopo l'entrata in vigore della legge e 10 anni dopo per la direzione.
Non si tratta di un ostacolo insormontabile, ha spiegato la "senatrice" Brigitte Haeberli-Koller (PPD/TG) rivolta agli scettici, secondo cui l'articolo in questione è stato formulato nella maniera più blanda possibile proprio per raccogliere il maggior consenso possibile. La legge non prevede nemmeno sanzioni per quelle imprese che non dovessero attenersi ai valori di riferimento.
E le competenze? - Tra le poche voci levatesi contro la versione del Nazionale, Beat Rieder (PPD/VS) ha giudicato problematico fissare degli obiettivi per gli organi direttivi delle società, sostenendo che si tratta di un'importante restrizione alla libertà d'impresa. Per esercitare mansioni direttive sono necessarie competenze, non più donne.
Un'osservazione cui Anita Fetz (PS/BS) ha replicato chiedendo retoricamente se fossero veramente i migliori e i più qualificati quei dirigenti - tutti uomini - che hanno causato il fallimento di Swissair e rischiato di mandare a gambe all'aria UBS.
No trasparenza liberalità a politici - Oltre a questo aspetto controverso, il plenum aveva deciso in precedenza, per 25 voti a 16, di non inserire obbligatoriamente nel rapporto di remunerazione della direzione una disposizione riguardante l’importo totale delle liberalità versate a soggetti politici (in particolare a partiti e associazioni nonché a favore di campagne) e le liberalità di almeno 10'000 franchi per beneficiario ed esercizio, con menzione del nominativo del beneficiario e dell’importo della liberalità.
Questa proposta, difesa soprattutto dal campo rosso/verde, è stata giudicata inopportuna dalla maggioranza visto che è pendente in Parlamento un'iniziativa popolare sulla trasparenza del finanziamento ai partiti. La sinistra ha giudicato invece tale proposta un contributo importante per gli azionisti affinché sappiano come vengono spesi i loro soldi.
Diritto va "modernizzato" - La riforma in discussione ha come obiettivo di adeguare un quadro normativo risalente al 1991. Tra le altre novità, i senatori hanno accettato l'idea di introdurre un margine di variazione del capitale.
Nonostante l'opposizione della sinistra, la maggioranza ha anche deciso di concedere un trattamento fiscale privilegiato a tale margine. Ciò potrebbe causare importanti perdite per lo Stato, mentre la riforma dovrebbe essere neutrale dal punto di vista fiscale, ha sostenuto invano Christian Levrat. Anche il Consiglio federale non era favorevole a questa proposta.
Iniziativa Minder - La riforma deve anche ancorare nella legge le esigenze contro le remunerazioni abusive derivanti dall'iniziativa Minder, ciò che i "senatori" hanno fatto senza modificare praticamente nulla delle prescrizioni in vigore.
Il progetto prevede anche disposizioni per contrastare la corruzione nel settore delle materie prime. Le società quotate in borsa attive nell'estrazione (minerali, petrolio, gas, legname) dovranno riferire annualmente sui pagamenti effettuati ai governi dei Paesi in cui sono attive. La maggioranza ha incaricato il Consiglio federale di prendere in considerazione anche gli obblighi delle imprese commerciali.
Queste misure sono indipendenti dal controprogetto del Nazionale all'iniziativa popolare per multinazionali responsabili. Il Consiglio degli Stati affronterà in un secondo tempo questo problema.
Il dossier ritorna alla Camera del popolo.