Nell'UDC c'è grande preoccupazione per le conseguenze di un simile testo per la democrazia diretta, la neutralità del Paese e il federalismo
BERNA - Nella sua forma attuale, l'accordo istituzionale tra la Svizzera e l'Unione europea (UE) «distrugge la Svizzera». Parola del presidente dell'UDC Albert Rösti, che oggi davanti ai media ha dichiarato che il gruppo democentrista alle Camere ha respinto l'intesa all'unanimità. Per Rösti, il Consiglio federale non deve né parafare né firmare l'accordo in questione, ma prepararsi ad elaborare un piano B.
In particolare, l'UDC intende presentare degli atti parlamentari volti a rivitalizzare la Svizzera e renderla più attrattivo per gli investitori esteri.
Stando al consigliere nazionale bernese, l'analisi approfondita dell'accordo istituzionale ha suscitato nel gruppo grande preoccupazione per le conseguenze di un simile testo per la democrazia diretta, la neutralità del Paese e il federalismo. Insomma, questo accordo è contrario a tutto ciò che è la Svizzera, ha aggiunto.
In particolare, il testo negoziato contravviene - a detta di Rösti - alla carta fondamentale poiché mina alla base l'indipendenza e la sovranità del Paese. In particolare, Rösti se l'è presa con il Tribunale arbitrale, a suo dire uno specchietto per le allodole, poiché in ultima istanza sarà la Corte europea di giustizia a dettar legge. Esempi simili sono le intese negoziate dall'Ue con l'Ucraina, la Moldavia e la Georgia.
Secondo l'UDC, un accordo istituzionale in cui una parte deve riprendere il diritto dell'altra equivale a una sottomissione. Insomma, più che un consolidamento della via bilaterale, l'accordo istituzionale rappresenta esattamente il contrario, ossia l'affossamento della via bilaterale e un'adesione strisciante all'Ue.
Oltre a ciò, una spina nel fianco per i democentristi è la possibilità concessa all'Ue di adottare misure equivalenti - né più né meno che sanzioni, secondo Rösti - qualora la Svizzera non dovesse riprendere automaticamente il diritto comunitario in alcuni settori.
Rösti ha anche approfittato della presenza dei media per attaccare il PLR, partito reo di avere cambiato casacca sull'accordo dietro pressione di alcune grandi imprese dirette da stranieri che lo terrebbero «al guinzaglio». Per il presidente dell'UDC, il sì del PLR a questa intesa è una pugnalata alla schiena del Consiglio federale perché impedisce quest'ultimo di intavolare nuovi negoziati con Bruxelles.
Tra gli altri punti problematici dell'accordo, il capogruppo UDC alle Camere federali, Thomas Aeschi, ha citato il costo finanziario dell'operazione dovuto al fatto che la Svizzera sarà obbligata prima o poi ad accogliere le direttive comunitarie sulla cittadinanza. A detta del consigliere nazionale di Zugo, un'eventuale firma dell'intesa renderà inoltre impossibile l'espulsione di criminali stranieri e la gestione autonoma dell'immigrazione.
A disturbare l'UDC è anche la presenza della clausola ghigliottina, che si voleva eliminare, e la questione degli aiuti di Stato. Un sì all'accordo potrebbe significare la fine sia delle garanzie concesse dai cantoni alle rispettive banche sia della promozione economica come praticata oggi.
Quanto alla tanto decantata sicurezza giuridica data dall'accordo, secondo Aeschi il documento ottiene l'obiettivo contrario, dal momento che nessuno può sapere in anticipo come evolverà l'Ue in futuro.
La posizione del PS - l Partito socialista svizzero è favorevole alla conclusione di un accordo istituzionale con l'Unione europea. Il progetto messo in consultazione dal Consiglio federale lascia però troppe domande importanti senza risposta, a cominciare da quelle sulla protezione dei salari. Ragione per cui il partito non può pronunciarsi in modo fondato, afferma il PS in una nota diramata oggi.
Il governo - deplora - ha posto in consultazione un «documento minimalista di 30 pagine», che «non basta a rendere conto della portata e della complessità dell'accordo». Il PS gli sottoporrà dunque, nella sua risposta, una lista dettagliata di domande, che esigono risposte chiare se si vuole superare lo scoglio del referendum.
«Cruciale» è per il PS la questione dei salari. Quali minacce pesano su questi ultimi e sulle condizioni di lavoro? Come garantire l'attuale livello di protezione? Altra questione carica d'incognite sono gli aiuti statali. Che conseguenze implicherà il nuovo regime per le società di trasporti pubblici, le banche cantonali, le aziende elettriche, gli ospedali, la politica pubblica dell'alloggio o per la Posta?
Ancora da chiarire, per il Partito socialista, anche la procedura in caso di divergenze con l'Ue. E ancora: «è possibile ottenere un compromesso in materia di protezione dei salari in cambio di concessioni sulla direttiva riguardante il diritto dei cittadini dell'unione?».
Il PS si aspetta che il Consiglio federale «coordini le sue risposte con l'Ue al fine di evitare qualsiasi malinteso o divergenze d'interpretazione». Tutte le incertezze prevedibili devono essere eliminate il più presto possibile in vista di una probabile votazione popolare, sostiene il partito presieduto da Christian Levrat.