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BERNA"Sì" al controllo della parità salariale nelle grandi aziende

29.05.18 - 15:31
Lo ha deciso oggi il Consiglio degli Stati per le imprese con almeno 100 dipendenti per 27 voti a 15 e 3 astenuti. Il dossier va al Nazionale
Keystone
"Sì" al controllo della parità salariale nelle grandi aziende
Lo ha deciso oggi il Consiglio degli Stati per le imprese con almeno 100 dipendenti per 27 voti a 15 e 3 astenuti. Il dossier va al Nazionale

BERNA - In futuro, le imprese con almeno 100 lavoratori dovranno far svolgere un'analisi sull'uguaglianza dei salari tra i sessi ogni quattro anni, facendola verificare da un organismo indipendente. Lo ha deciso oggi il Consiglio degli Stati per 27 voti a 15 e 3 astenuti. Il dossier va al Nazionale.

Prima del voto complessivo, il plenum ha bocciato per 25 voti a 17 e 3 astenuti una proposta di minoranza, sostenuta da PLR e UDC, che puntava ad indebolire il disegno di legge, lasciando alle imprese maggiore autonomia in materia, specie per quanto riguarda la scelta dei criteri con cui eseguire l'analisi dei salari.

Per la maggioranza, la proposta in questione è un "placebo": senza criteri scientifici di analisi, è impossibile verificare la fondatezza dei dati ottenuti, ha sostenuto in aula la consigliera federale Simonetta Sommaruga. Per i fautori della proposta governativa, simile soluzione equivale a non fare nulla.

La minoranza, rappresentata da Hans Wicki (PLR/NW), ha ricordato che l'idea di una verifica autonoma da parte delle aziende è la risposta alla richiesta di rinvio in commissione del dossier accolto la scorsa sessione primaverile dalla stessa Camera dei Cantoni. Era stato il "senatore" Konrad Graber (PPD/LU) a perorare il rinvio col desiderio che si studiasse un modello più rispettoso dell'autonomia delle aziende.

Thomas Hefti (PLR/GL) e lo stesso Wicki hanno poi fatto notare che l'alternativa in discussione non è un "placebo", dal momento che il 10% dei collaboratori può chiedere entro un anno la verifica della parità salariale fatta eseguire dal datore di lavoro. Essi hanno fatto anche notare che non tutte le differenze salariali tra i sessi in una ditta equivalgono a una discriminazione: certe divergenze possono essere spiegate col diverso livello di esperienza o di conoscenza delle lingue.

Questi argomenti non hanno tuttavia convinto la maggioranza, specie di sinistra, che nel corso del dibattito aveva già dovuto "digerire" la decisione del plenum di innalzare da 50, come voleva il Consiglio federale, a 100 il numero minimo di collaboratori che obbliga l'azienda ad eseguire una verifica sui salari corrisposti a donne e uomini. In pratica, con questa decisione (26 voti a 18), le aziende coinvolte scendono da 12 mila a poco più di 5 mila, pari al 45% dei lavoratori.

Il campo rosso-verde avrebbe voluto attenersi alla versione del Governo, dal momento che anche in questo caso il 98% delle aziende è escluso dalla verifica. Ma il plenum ha preferito seguire le raccomandazione della propria commissione di restringere ancora di più - allo 0,9% - il numero di ditte interessate.

Il progetto, come ripetuto più volte in aula, non prevede sanzioni per chi non rispetta la parità salariale. Non vogliamo una «polizia dei salari», ha più volte ripetuto in aula la ministra di giustizia e polizia, auspicando tuttavia che la modifica della Legge sull'uguaglianza tra uomo e donna possa col tempo sfociare in un cambiamento di mentalità e in miglioramenti tangibili, dal momento che le differenze nella remunerazioni tra i sessi sono ancora importanti (7%, ossia 7 mila franchi l'anno).

Prima del voto finale, il plenum ha voluto inoltre limitare la verifica dei salari a 12 anni dall'entrata in vigore della modifica di legge. Una proroga potrà essere ventilata qualora nel lasso di tempo previsto la legge non abbia dato i frutti sperati.

La modifica di legge prevede anche che le istituzioni pubbliche - Cantoni, Comuni e aziende parastatali - si sottopongano a verifica e pubblichino i risultati. Queste entità sono chiamate a dare il buon esempio. 

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