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BASILEA CITTÀDiversi ricoveri e un'infermità riconosciuta, ma ancora a piede libero

28.08.19 - 20:30
Vengono resi noti i dettagli della perizia psichiatrica sulla donna che in marzo ha ucciso il piccolo Ilias. Da tempo soffriva di deliri. Ma la sua pericolosità era stata sottovalutata
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Diversi ricoveri e un'infermità riconosciuta, ma ancora a piede libero
Vengono resi noti i dettagli della perizia psichiatrica sulla donna che in marzo ha ucciso il piccolo Ilias. Da tempo soffriva di deliri. Ma la sua pericolosità era stata sottovalutata

BASILEA - Era stata ricoverata in un ospedale psichiatrico per almeno 5 volte, tra il 2002 e il 2016. Il 21 marzo, tuttavia, la 75enne che ha ucciso il piccolo Ilias, a Basilea, era a piede libero. Lo stesso giorno si è consegnata con l'arma del delitto alle Autorità, come emerge dal verdetto della Corte d'appello di Basilea.

Per la prima volta, i dettagli della sua malattia mentale sono stati resi pubblici. Così emerge che la donna soffriva da anni di un disturbo delirante persistente diagnosticato per la prima volta nel 2002. Da allora ha subito diversi ricoveri in strutture psichiatriche.

Tuttavia, si era dimostrata reticente nel ricevere i trattamenti sanitari. La diagnosi era stata confermata nel 2003. La donna, in sostanza, nn era in grado di intendere e volere.

L'origine dei deliri risale a un conflitto con la magistratura, iniziato nel 1977. Da allora, A.F. e il suo partner (ormai deceduto) hanno iniziato a sentirsi vittime di autorità corrotte, iniziando a costruirsi una realtà delirante che nel tempo li ha fagocitati.

Minacce e una cattiva prognosi - La prognosi, secondo gli psichiatri, non lasciava grandi speranze. La malattia progrediva velocemente, come dimostrano le lettere inviate alle autorità, sempre più aggressive e minacciose, inviate dalla donna.

Una diagnosi datata 4 aprile 2016 confermava lo stato di totale incapacità nel discernere la realtà. In queste condizioni, tuttavia, non sarebbe stato prospettato un collocamento in una struttura adeguata.

«La legge richiede come prerequisito per una detenzione preventiva il pericolo che un reato commesso sia reiterato», spiega il verdetto. E quando è stata valutata nel 2016, il pericolo era ancora basso.

Tre anni dopo, il caso ha però preso la peggior piega peggiore. La donna continua a sentirsi una vittima della giustizia. E dà la colpa alle autorità. In un interrogatorio, ha detto: «Ciò che mi ha colpito di più è stata la consapevolezza che una persona è davvero in grado di uccidere se ne ha motivo e viene spinta a farlo. Non avrei mai pensato che poteste portare una persona compiere un gesto simile».

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