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ZUGOBugie ai migranti per facilitarne l'espulsione

17.10.16 - 19:18
Il trasferimento per una famiglia afghana celava il tentativo di spedire il nucleo in Norvegia. Di fronte all'impasse, genitori e figli sono stati separati e rinchiusi. Amnesty: «È uno scandalo»
Bugie ai migranti per facilitarne l'espulsione
Il trasferimento per una famiglia afghana celava il tentativo di spedire il nucleo in Norvegia. Di fronte all'impasse, genitori e figli sono stati separati e rinchiusi. Amnesty: «È uno scandalo»

ZUGO - Una famiglia afghana, composta da genitori e quattro figli, per qualche ora ha gioito. Il centro per richiedenti asilo presso il quale risiedavano, infatti, li ha invitati a fare le valigie. Il motivo? Raggiungere un altro luogo più adatto alle famiglie. Almeno secondo le indicazioni a loro fornite inizialmente.

Ma lo scorso martedì, a scortarli, c'era invece la polizia. Che li ha condotti all'aeroporto di Zurigo per imbarcarli. Destinazione finale: Oslo, Norvegia. Secondo il "Blick" la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) ha negato loro l'asilo in quanto avevano presentato una prima domanda in Norvegia.

Temendo di essere rimandata in Afghanistan, però, la famiglia si è opposta alla sua espulsione dalla Svizzera. La Norvegia ha infatti già rifiutato la loro richiesta e il Paese è conosciuto per una politica sui rinvii molto severa. Non è infatti un caso che circa 250 afghani siano già stati rinviati al Paese d'origine dall'inizio dell'anno. La Svizzera al contrario è meno severa, in quanto tiene in considerazione la situazione di guerra lacerante che caratterizza il paese natale della famiglia.

Famiglia separata - Resta in ogni caso il fatto che il rifiuto d'espulsione ha avuto conseguenze drammatiche per la famiglia. Come riferisce il "Blick", dopo aver trascorso tutta la notte in una prigione a Zugo, il nucleo è stato diviso. Il padre è rimasto in carcere, mentre la madre è stata trasferita presso il carcere di Kloten con il suo figlio più piccolo, di circa 4 mesi. Gli altri tre bambini, di 3, 5 e 8 anni, sono stati collocati in una casa d'accoglienza dove nessuno parla la loro lingua e dove nessuno ha spiegato alla piccola, terrorizzata, che cosa stesse accadendo.

Una misura del tutto inutile, secondo il quotidiano, in quanto la famiglia afghana ha parenti in Svizzera. Uno di questi, in particolare, ben integrato, sarebbe stato felice di accogliere almeno i più piccoli.

Secondo il "Blick", le autorità di protezione dei minori e degli adulti erano a conoscenza di questa situazione. Ma hanno subìto pressioni da parte dell'Ufficio della migrazione del cantone. Il motivo? Lasciare i bambini nelle mani dei familiari in Svizzera avrebbe consentito loro di fuggire con troppa facilità.

«Ma dove sta il problema?» - I servizi dell'Ufficio della migrazione hanno riferito di non capire dove stia il problema. Anzi, sostengono di aver perfettamente rispettato i regolamenti in materia di rimpatrio e affermano di essersi preoccupati del benessere dei bambini che, secondo il capo del servizio, stanno bene.

Non è però della stessa opinione Ammnesty International, secondo cui i giovani non starebbero affatto bene, come affermato da un rappresentante dell'organizzazione, che ha precisato inoltre di non essere stato autorizzato a vederli. I genitori hanno potuto parlare con i due solamente dopo nove giorni, mentre una delle bambine, disperata, trascorre la giornata piangendo e teme che la polizia piombi in camera nel mezzo della notte per cercarli.

Un po' di cuore - Amnesty International ha preso il caso a cuore, esigendo dalle autorità di protezione dei minori e degli adulti il pieno rispetto dei diritti e del benessere dei bambini, evitando di subire le strumentalizzazioni dell'Ufficio della migrazione. Secondo l'ONG, sarebbe stato infatti sufficiente mettere il padre agli arresti, senza separare il resto della famiglia. I metodi utilizzati invece, sottolinea Amnesty, fanno urlare allo scandalo.

Le autorità dovranno ora pronunciarsi e decidere se la madre e il più piccolo dei figli potranno o meno uscire di prigione. La speranza, ha concluso il responsabile della ONG, è che il giudice possa avere almeno un po' di cuore.

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