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SVIZZERA«Ci hanno lasciate da sole con l'assassino di mia madre»

23.11.21 - 23:59
Lena, che oggi vive in Svizzera, racconta la sua storia: quella di un femminicidio.
20Minuten/Matthias Spicher
Fonte 20Minuten/Zora Schaad
«Ci hanno lasciate da sole con l'assassino di mia madre»
Lena, che oggi vive in Svizzera, racconta la sua storia: quella di un femminicidio.
Aveva 20 anni quando il padre ha strangolato la madre, cercando di farla passare come una caduta dalle scale.

BERNA - Venticinque. È questo il numero di femminicidi, da record, verificatisi quest’anno in Svizzera. Ma dietro queste cifre fredde ci sono storie e persone vere, che hanno sofferto l’indicibile. Persone come Lena*, una ragazza che 18 anni fa ha perso sua madre per mano di suo padre. Oggi vive in Svizzera e ha costruito una sua famiglia.

La storia è da brividi. Il padre di Lena ha cercato di soffocare la madre con un cuscino, poi l’ha colpita con un Buddha di cemento, l’ha spinta giù dalle scale per far sembrare il tutto un incidente e infine l’ha strangolata a mani nude. Lena aveva solo 20 anni e allora viveva con i genitori vicino a L’Aia, in Olanda.

Quella mattina la giovane, che era fuori casa, trova cinque chiamate perse dal suo capo. «Pensavo che fosse cambiato qualcosa nell'organizzazione della giornata lavorativa. Ho richiamato e mi ha detto che era successo qualcosa a mia madre». A quel punto, Lena chiama la sorella: «Ma mia mamma era già morta. Aveva 46 anni». 

Lena corre a casa e trova il padre, la sorella e la polizia. Tutto è già stato ripulito. La madre ha avuto una caduta infelice dalle scale, si dice. Ma l’atmosfera è strana, ricorda Lena. «La polizia ha sospettato fin dall'inizio che la morte della mamma non fosse stata un incidente. Ma non hanno detto niente, e se ne sono andati. Hanno lasciato me e mia sorella con nostro padre, l'assassino di nostra madre, per dieci giorni».

Due giorni dopo il funerale, la polizia arriva e arresta il padre. «L’autopsia parlava chiaro: segni di strangolamento, cranio fratturato, diverse costole e dita fracassate. Dopo tre o quattro notti di detenzione ha confessato», racconta Lena.

All'inizio c'era solo shock, rabbia e incomprensione, spiega. Poi, a distanza di un anno, è sopraggiunto il dolore e Lena si è rifugiata nel bere, abbandonando gli studi. E soffre ancora oggi di fasi depressive e problemi di fiducia. «Se tutto questo non fosse accaduto, oggi mi troverei in un’altra posizione, sia a livello professionale che finanziario. Tuttora non riesco a gestire di più che un’occupazione part-time».

Nonostante tutto, Lena non ha mai interrotto i contatti con suo padre. «Sono andata a trovarlo ancora e ancora. Prima in carcere, poi in regime di semilibertà. Volevo parlargli di quel giorno e capire, ma da lui non usciva mai molto. L'unica cosa che ha detto è: 'Non avevo più voglia di vedere tua madre, ma non volevo nemmeno divorziare'».

Lena lancia un appello: «Se ci sono segni di violenza in una famiglia che vi sta attorno, non guardate dall’altra parte, reagite. E se accade un femminicidio, non deludete i vostri cari. Io e mia sorella siamo state lasciate da sole».

Lena oggi vive in Svizzera, dove ha messo su famiglia. Di tanto in tanto fa vedere il figlio a suo padre, che è fuori custodia da otto anni, per non privarlo della figura di un nonno. «Mio padre mi disgusta. Non mi piace stargli vicino. Lo odio? Piuttosto, provo un'enorme quantità di stanchezza».

*nome reale cambiato

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