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SVIZZERA / STATI UNITILa top model svizzera: «Anche io vittima di violenze, ecco perché non ho denunciato»

10.06.20 - 15:38
Sui social le rivelazioni della modella argoviese Anja Leuenberger hanno fatto scalpore. L'intervista
foto Instagram
Anja Leuenberger
Anja Leuenberger
Fonte 20 Minuten/Katja Fischer
La top model svizzera: «Anche io vittima di violenze, ecco perché non ho denunciato»
Sui social le rivelazioni della modella argoviese Anja Leuenberger hanno fatto scalpore. L'intervista
«Vorrei aver avuto il coraggio, ma mi vergognavo troppo e non c'era ancora #metoo. Vittime: non tacete»

AARAU/NEW YORK - Ventisette anni, bellezza delicata, una carriera prima in Svizzera e poi nella Grande Mela. Anja Leuenberger è una delle modelle elvetiche più affermate all'estero, e non ha bisogno di mettersi in mostra fuori dalle passerelle. Anche per questo alcune sue rivelazioni affidate ai social hanno suscitato scalpore, nei giorni scorsi. 

La giovane argoviese - originaria di Fislisbach - ha approfittato del lockdown per scrivere un libro, "The Depths of My Soul" ("Le profondità della mia anima", in inglese). Nelle sue memorie Leuenberger ha raccontato di essere stata violentata due volte, prima di avere compiuto 20 anni. All'epoca la modella viveva ancora in Svizzera: nel 2014, a 21 anni, si è trasferita a New York dove abita e lavora ancora oggi. In un'intervista a 20 Minuten ha raccontato la sua storia. 

Tre giorni fa hai reso pubbliche le violenze che hai subito. Come stai?
«Sono sollevata, è stato liberatorio. E anche molto intenso: sono tornata a rivivere quei fatti molto intensamente. Avevo pronto il post già da tempo, ma prima di riuscire a pubblicarlo ho dovuto fare un lungo, profondo respiro».

Quali sono state le reazioni?
«Ho ricevuto un'incredibile quantità di messaggi su Instagram e tramite Whatsapp. Si sono fatte avanti centinaia di persone: congratulandosi, ringraziandomi o raccontando le loro esperienze. Sono positivamente sorpresa».

Ci sono stati anche commenti negativi?
«Sì, e me lo aspettavo. Alcuni non riescono a capire perché non ho denunciato gli autori, perché non faccio nomi e cognomi. Chi non l'ha vissuto sulla sua pelle, non può capire».

Vuoi spiegare, quindi, perché non hai sporto denuncia?
«Perché non servirebbe a niente. Ho visto come è andata a molte altre donne, che hanno cercato invano di mettere i molestatori davanti alle loro responsabilità. È molto coraggioso. Ma ad anni di distanza dal crimine non si può fare praticamente nulla».

Pensi che avresti dovuto reagire immediatamente?
«Sì. Vorrei avere avuto il coraggio. Mi vergognavo troppo. Erano anni diversi: non c'era ancora stato il movimento MeToo. Il problema degli abusi sessuali nel settore dello spettacolo è venuto a galla solo da due anni a questa parte».

E i responsabili?
«So che entrambi sono stati puniti, perché non ero l'unico caso. Questo mi dà soddisfazione. Ora voglio alzare la voce con il mio libro e i miei social media per raggiungere e aiutare altre persone nella mia stessa situazione».

Come andarono le cose?
«La prima volta è successo in una discoteca di Zurigo. Avevo 15 anni. All'improvviso un ragazzo mi trascinò in disparte all'esterno. È successo tutto molto rapidamente. Nemmeno io ricordo più tutto, ho rimosso gran parte dell'accaduto». 

Lo conoscevi?
«No. Ma nel secondo episodio sì. Avevo 18 anni ed ero stata invitata a una cena in un ristorante, con altri modelli e persone del mondo della moda. Uno degli invitati mi ha spinto contro un muro e mi ha soffocato così forte che sono quasi svenuta».

È successo tutto nel ristorante?
«Sì, è successo in pubblico. Alcune persone si trovavano a poca distanza, ma nessuno è intervenuto. Sembrava un film. Sono rimasta scioccata, sono scappata e una volta a casa mi sono chiusa nella doccia per ore. Il senso di colpa mi ha tormentata a lungo. Avevo una gonna troppo corta? Ero troppo carina?»

Come hai reagito?
«Mi sono allontanata. Sono andata a lavorare in Giappone, per alcuni mesi. Ho rimosso. E ho sofferto per anni di forti attacchi di panico. Soprattutto prima di prendere un aereo, mi accadeva spesso. Ho perso diversi voli per questo motivo».

Non hai detto niente a nessuno?
«Ne ho parlato per la prima volta con il mio ragazzo, diverso tempo dopo. Avevo 21 anni. Poi con mia mamma e mia sorella. Avevo molta paura di parlarne a mio padre. Ma tutti hanno reagito bene, mostrando grande comprensione. Vorrei averglielo detto prima». 

Lo consigli anche a chi abbia vissuto la stessa esperienza?
«Assolutamente! Bisogna parlarne, anche se è estremamente difficile. Più ne parli, più puoi elaborare. E non vergognarti di andare in terapia. Anche questo mi ha aiutato molto. Anche per quanto riguarda gli attacchi di panico».

Oggi riesci a convivere con questo peso?
«Abbastanza. Ma ci sono situazioni in cui la paura mi torna. Ad esempio, di recente ero al parco con il mio cane, era tarda sera, e un uomo mi correva dietro. Mi sono spaventata molto. Il panico riaffiora anche in circostanze ristrette, ad esempio l'anno scorso mi è capitato a una festa di compleanno».

Riuscirai mai a metterci una pietra sopra?
«So che queste esperienze me le porterò dietro per tutta la vita. Ma mi rendono più forte, e non voglio più tacere».

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