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SVIZZERADa Ginevra al Califfato con le sue bimbe: «Io in Svizzera non torno»

29.10.19 - 06:08
L'incredibile viaggio di una 30enne romanda che nel 2016 ha raggiunto l'Isis ora è in un campo di prigionia: «Mi hanno offerto di rimpatriarle, ma restano con me»
20M/GUX
Da Ginevra al Califfato con le sue bimbe: «Io in Svizzera non torno»
L'incredibile viaggio di una 30enne romanda che nel 2016 ha raggiunto l'Isis ora è in un campo di prigionia: «Mi hanno offerto di rimpatriarle, ma restano con me»

QAMISHLI/GINEVRA - È nata e cresciuta a Ginevra, dove ha compiuto il suo percorso di studi e terminato l'apprendistato. Oggi la 30enne ginevrina Sahila F.* si trova in un centro di prigionia a nord della Siria con le sue bimbe.

Nel 2016 la donna aveva deciso di unirsi ai ranghi dell'Isis in Siria portando con sé le due figlie Malika* (13 anni) e Nalia* (7 anni) entrambe di nazionalità svizzera. Oggi il loro futuro è in bilico, mentre il loro presente scorre con altre 400 persone, fra donne e bambini, nella tendopoli del campo.

«Mi spiace per quello che sto facendo passare alle mie piccole», confida a 20 Minuten ma nega che, il suo, sia stato un rapimento: «Le figlie devono stare con la loro madre», motiva la donna.

Nel 2017 la Confederazione nei suoi confronti ha però aperto un dossier per terrorismo e per sequestro di minori, ma lei questo non lo sa: «Qui le notizie arrivano di rado, non possiamo ricevere messaggi o guardare la televisione».

Un non ben precisato diplomatico svizzero le avrebbe offerto la possibilità di rimpatriare le ragazzine: «Solo le due più grandi, io sarei rimasta qui e anche Shamina* che ha 1 anno e mezzo ed è nata qui in Siria, suo papà era un miliziano che ha perso la vita combattendo. Ovviamente non potevo accettare».

Interrogata, Malika a malapena risponde: «Voglio solo stare con la mamma», borbotta. È in stampelle perché è rimasta ferita da una granata in primavera durante la battaglia per l'ultima città dell'Isis in Siria, Baghuz: «L'hanno operata qui, nel campo dei curdi. Migliora, anche se lentamente», spiega la madre. 

Interpellato sul caso, il Dfae conferma che non prende posizione sui singoli fascicoli. Lei però, in Svizzera non è che ci voglia tornare. Preferirebbe l'Algeria, il paese di suo padre: «Voglio andare in un posto dove posso fare la spesa senza che mi guardino male per il mio hijab, come mi succedeva quando andavo alla Migros».

La situazione al campo però è tutt'altro che tranquilla: «Abbiamo paura, stiamo sempre assieme e solo di rado lasciamo la tenda», conclude la 30enne, «qui è pericoloso».

*nomi noti alla redazione

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