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VAUDIniezione letale a un paziente, il medico evita il carcere

30.09.19 - 20:02
L'imputato è stato riconosciuto colpevole di omicidio intenzionale e ha ricevuto una pena di due anni (con la condizionale) per aver accompagnato alla morte una paziente di 86 anni
Iniezione letale a un paziente, il medico evita il carcere
L'imputato è stato riconosciuto colpevole di omicidio intenzionale e ha ricevuto una pena di due anni (con la condizionale) per aver accompagnato alla morte una paziente di 86 anni

VEVEY - Due anni con la condizionale: è la pena inflitta ad un medico di famiglia vodese per aver praticato un'iniezione letale a una paziente di 86 anni che nel 2015 sembrava in fin di vita. Il Tribunale distrettuale dell'Est vodese, a Vevey, non lo ha riconosciuto colpevole di omicidio intenzionale.

L'imputato è un medico generalista di 44 anni, che lavora a Pully dal 2007. Rischiava cinque anni di reclusione poiché il pubblico ministero riteneva il suo atto un'eutanasia attiva non esplicitamente richiesta e quindi assimilabile all'omicidio.

Il Tribunale distrettuale ha ritenuto che, per agire, il medico «si è convinto che la sua paziente fosse in fin di vita». Si è però basato esclusivamente sulla visione soggettiva del marito, che riteneva sua moglie vittima di un accanimento terapeutico.

I giudici hanno inoltre sottolineato che ci sono troppi dubbi per affermare che si sia trattato di una eutanasia attiva pianificata. L'imputato ha sì agito da solo in maniera abbastanza presuntuosa - con un senso di superiorità - ma per alleviare la sofferenza della paziente.

«Ha superato la linea rossa tra eutanasia attiva indiretta e diretta», ha osservato la presidente del tribunale, ritenendo che non vi sia alcun rischio di recidiva e che l'imputato abbia agito «per motivi onorevoli». Di conseguenza è stata evitata la pena minima di cinque anni di reclusione per omicidio intenzionale.

L'articolo 114 del codice penale commina infatti una pena detentiva sino a tre anni o una pena pecuniaria per chi, per motivi onorevoli, segnatamente per pietà, cagiona la morte di una persona a sua seria e insistente richiesta.

La donna deceduta soffriva di patologie polmonari arteriose e cardiache. Nel 2012, aveva firmato un «testamento preventivo» che designava il medico e suo figlio come persone di fiducia. Nel documento inoltre si dichiarava contraria all'accanimento terapeutico, pur non essendo membro di Exit.

Nell'aprile 2015, l'anziana si era fratturata una vertebra ed era stata ricoverata presso il Centro di trattamento e riabilitazione Sylvana di Epalinges (VD) in una situazione di angoscia psicologica e scompenso cardiaco. Il marito, 90 anni, temeva che i medici di Sylvana avrebbero fatto il possibile per tenerla in vita invece di abbreviare le sofferenze della moglie fornendogli cure palliative.

Il 15 giugno 2015, la donna aveva ottenuto il permesso di lasciare l'ospedale per qualche ora per tornare a casa. Dopo il pasto era andata a dormire. Al risveglio parlava e respirava con difficoltà e quindi il marito aveva chiamato il medico.

La morte è stata dichiarata "naturale", ma il direttore del Sylvana ha avuto sospetti e ha denunciato il caso alle autorità.

In aula il marito 90enne ha detto ai giudici che non sapeva che l'iniezione praticata dal dottore fosse letale. Comunque - ha aggiunto - «non ha preso quella decisione alla leggera. Non c'era modo di fermare la sofferenza di mia moglie o di guarirla. Ho piena fiducia nel nostro medico. Agisce per fare del bene agli altri».

Dal canto suo l'imputato ha ricordato che «la paziente non voleva morire in ospedale». Ha poi spiegato che ha quasi sempre nella sua valigetta il curaro, la sostanza usata per l'iniezione letale, poiché è probabile che si trovi a dover affrontare in qualsiasi momento casi difficili di persone a fine vita.

Alla lettura della sentenza il medico è sembrato sollevato. Un buon centinaio di persone, fra pazienti e parenti, è venuto a sostenerlo durante il processo. All'annuncio del verdetto il pubblico ha applaudito. Alcuni hanno persino pianto.

Malgrado la richiesta di cinque anni di carcere contro l'imputato, il procuratore generale Eric Cottier si è detto soddisfatto della sentenza: la considera «equa e che riporta il campanile al centro del villaggio».

 
 

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