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BASILEA CAMPAGNAAiutò una donna depressa a morire, dottoressa (parzialmente) assolta

09.07.19 - 15:34
Per il tribunale la donna non è colpevole di omicidio intenzionale, ma è stata comunque condannata per violazione della Legge sugli agenti terapeutici
Keystone
La dottoressa Erika Preisig
La dottoressa Erika Preisig
Aiutò una donna depressa a morire, dottoressa (parzialmente) assolta
Per il tribunale la donna non è colpevole di omicidio intenzionale, ma è stata comunque condannata per violazione della Legge sugli agenti terapeutici

MUTTENZ - Il tribunale penale di Muttenz (BL) ha assolto la dottoressa Erika Preisig dall'accusa di omicidio intenzionale. La donna, che offre un servizio di assistenza al suicidio nel cantone di Basilea Campagna, è stata invece condannata a quindici mesi di prigione con la condizionale per violazione della legge sugli agenti terapeutici e a pagare una multa di 20'000 franchi oltre alle spese giudiziarie.

Durante il periodo di prova - di quattro anni - Preisig potrà continuare a praticare in qualità di medico di famiglia e ad accompagnare le persone che vogliono porre fine alla loro vita. Alla dottoressa sarà tuttavia vietato prescrivere farmaci per l'eutanasia nelle cartelle mediche di persone con problemi psichici.

Il pubblico ministero aveva chiesto per l'imputata una condanna a cinque anni, con l'accusa di omicidio intenzionale, per aver aiutato a morire una donna in stato depressivo a suo avviso incapace di giudizio. La procuratrice aveva anche chiesto una pena pecuniaria con la condizionale di 100 aliquote da 100 franchi e un divieto di attività nell'ambito dell'assistenza al suicidio. La difesa aveva chiesto l'assoluzione.

L'accompagnamento al suicidio in questione era avvenuto nel giugno 2016. La paziente di 67 anni, che viveva in una casa per anziani del cantone renano, si era rivolta alla fondazione Eternal Spirit della dottoressa 61enne, dopo che, tre anni prima, la più nota associazione Exit si era rifiutata di aiutarla a togliersi la vita.

Secondo la procuratrice la donna, che rifiutava tutti i suggerimenti terapeutici e ripeteva il suo desiderio di morire, soffriva di uno stato depressivo recidivo e di disturbi somatici, malattie «puramente psichiche» e non mortali. Inoltre non era capace di discernimento, aveva affermato sulla base di una perizia commissionata post mortem al professor Marc Graf, direttore dell'istituto forense delle Cliniche psichiatriche universitarie (UPK) di Basilea, che in aula aveva ribadito la sua tesi.

Per il tribunale il rapporto psichiatrico post mortem è «affidabile» e concepito correttamente. Non è contestato il modo in cui la 67enne è stata accompagnata alla morte. Da soppesare qui è il diritto alla vita e il diritto all'autodeterminazione - di togliersi la vita anche quando si è malati. La questione giuridica decisiva è la capacità di giudicare.

La 67enne ha saputo riconoscere correttamente la sua attuale qualità di vita, in particolare la perdita di autonomia con l'entrata nelle case di riposo e di cura. Solo la sua capacità di valutare la sua futura qualità di vita era alterata dalla sua malattia psichica, ha detto il presidente. Non poteva valutare l'utilità di terapie supplementari. Queste, secondo perizie, avrebbero potuto ridurre i sintomi nel migliore dei casi.

La giurisprudenza non concorda sul fatto che la capacità di avere una visione d'insieme approssimativa sia sufficiente per giudicare. La corte di cinque giudici del Tribunale penale ha valutato la capacità di giudizio sulla base della perizia, ma non ha tratto le le stesse conclusioni del professor Graf, da cui l'assoluzione dell'accusa di omicidio.

Preisig ha ignorato la regola fondamentale dei medici di attenersi ai limiti delle proprie competenze, dal momento che lei stessa non ha alcuna formazione psichiatrica, ha detto la presidente della corte. Anche il collega consultato da Preisig per avere un secondo parere era chiaramente sottoqualificato: avendo frequentato un corso di psichiatria di 350 ore era molto lontano dallo studio specialistico di sei anni.

Come il pubblico ministero i cinque giudici del Tribunale penale hanno ritenuto che la dottoressa abbia infranto a più riprese la legge sugli agenti terapeutici. Le sostanze utilizzate per l'aiuto al suicidio sono sottoposte a regole particolari.

Questi preparati devono essere chiaramente caratterizzati con il nome, cognome e data di nascita della persona a cui sono destinati. La preparazione realizzata per un paziente specifico non può essere utilizzata per un'altra persona.

La dottoressa disponeva di dosi le cui etichette non avevano le informazioni richieste. Ha anche cambiato le etichette di dosi prescritte per determinate persone per utilizzarle per altri pazienti,

Dal canto suo, la 61enne si è detta convinta in aula di aver «agito nel giusto» e che se avesse detto di no alla 67enne questa si sarebbe tolta la vita in modo più cruento. La dottoressa ha spiegato che con la sua organizzazione ha già effettuato circa 400 accomp

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