La 29enne chiedeva il rimpatrio e «di essere trattata come una svizzera», le risposte arrivate degli schieramenti sono (ovviamente) agli antipodi
ZURIGO - La storia di Selina (29 anni), da Losanna in Siria seguendo il marito arruolatosi nell'Isis e da 14 mesi prigioniera in un campo curdo, l'abbiamo raccontata ieri sulle pagine di 20 minuti e su tio.ch.
L'appello alla Svizzera della donna, detenuta con la figlia di 2 anni, è uno solo: «Fatemi tornare a casa, non fatemi processare qui. Trattatemi come svizzera oppure riprendetevi il mio passaporto».
Un'idea alla quale, in linea di principio, si è già opposta settimana scorsa la consigliera federale Karin Keller-Sutter.
E in diversi sono della sua stessa idea: «Andando in Siria questa donna ha tradito la sua patria, non ha più nessun diritto», sentenzia Barbara Keller-Inhelder (Udc). Contraria anche la liberale Corina Eichenberger-Walther: «Gli ex-miliziani dello Stato islamico rimpatriati rappresenterebbero un rischio per la sicurezza nazionale. Ne ha aderito di sua volontà, ora ne paghi le conseguenze».
Ma non mancano le voci a suo favore: «È svizzera, quindi deve essere processata qui. Abbiamo questa responsabilità», commenta Sibel Arslan (Verdi). «I curdi non possono essere parziali, hanno sofferto troppo nella guerra contro l'Isis», spiega Fabian Molina (PS), «qui possiamo garantire che il processo sia equo. Penso che la Confederazione possa permettersi di rimpatriare una ventina di ex-jihadisti e riformarli di modo che non possano più fare del male».