Stando a Comparis è un'idea che non dispiacerebbe alla maggioranza dei pendolari svizzeri. Ma le problematiche non mancano
ZURIGO - In autostrada (e in colonna) ma al telefono oppure in treno a leggere dossier o con il portatile aperto: per alcuni pendolari anche il viaggio casa-lavoro è un ufficio. Per diversi altri, invece, è un'esperienza vessante e mangiavita.
Otto ore a lavorare e poi una, due (o tre) ore per strada alla fine per il tempo libero non è che avanzi poi tantissimo. Per questo motivo, stando a un sondaggio fra i pendolari svolto da Comparis, il 65% degli intervistati si è detto favorevole al fatto che il tempo impiegato per recarsi sul posto venga conteggiato come lavorativo. Per un 23%, invece, questo sarebbe il caso solo se durante gli spostamenti si effettua davvero del lavoro. Per il 9%, invece, ciò è accettabile solo se si utilizzano i mezzi pubblici.
La proposta lascia un po' interdetti i sindacati: «È molto poco probabile che un'azienda sia disposta a pagare anche il tempo di pendolamento», spiega Dieter Egli di Syna, «non è si tratta di un viaggio di lavoro, ma per e il treno non può (e forse non deve) automaticamente diventare un ufficio. E se il datore, invece, pretendesse che lavorassimo durante il viaggio? Per alcuni è un tempo fondamentale per recuperare o per prepararsi alla giornata. L'alternativa migliore potrebbe essere la possibilità di timbrare il cartellino in remoto, magari con un'app, non è certo fantascienza».
Tira il freno anche Unia, come spiegato a 20 Minuten dalla portavoce Silvia Kohler: «Come con l'home office, questa particolare forma di lavoro remoto dovrebbe essere negoziata con la propria azienda».
Tre tipologie di pendolari:
Il produttivo scontento - «Le ore che passo in treno di solito sono quelle più produttive», ci spiega Martin (32 anni), «viaggio in prima classe e di solito riesco a lavorare pure meglio rispetto all'open space che abbiamo in ufficio... Sfortunatamente il mio andata-ritorno da Saas-Fee a Berna (sono 4 ore) non viene conteggiato, anche se l'azienda sa benissimo che non resto con le mani in mano... ».
Quello che gliele contano - «Io per lavoro – faccio il cappellano nelle carceri – devo spostarmi tantissimo e con regolarità» spiega Hans (59 anni), «ho la fortuna che a me gli spostamenti vengono considerati parte della mia mansione e ho anche diritto al rimborso se prendo la macchina. Di solito quando viaggio in treno sbrigo la e-corrispondenza oppure preparo le omelie e i discorsi che dovrò fare».
L'improduttivo contento - «Il mio tempo di percorrenza è di circa 35 minuti per l'andata e altrettanti per il ritorno. Lavoro nelle vendite e quindi sul treno non è che possa fare granché, non ci sono mica i clienti da servire!», racconta Pascal (35 anni) Io quindi o leggo oppure schiaccio un sonnellino. Però penso che chi riesce a rendere i viaggi produttivi dovrebbe vederselo considerato come lavoro».