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GINEVRALicenziata al rientro dal congedo maternità, verrà risarcita

30.07.18 - 13:04
Il Tribunale dei probiviri ha giudicato la rescissione del contratto come «abusiva e discriminatoria». Riceverà 10’000 franchi d’indennizzo
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Licenziata al rientro dal congedo maternità, verrà risarcita
Il Tribunale dei probiviri ha giudicato la rescissione del contratto come «abusiva e discriminatoria». Riceverà 10’000 franchi d’indennizzo

GINEVRA - Ha licenziato la sua dipendente il giorno stesso in cui è tornata dal congedo maternità. Ora, un anno e mezzo dopo, il datore di lavoro è stato condannato a risarcire la sua ex dipendente con 10’000 franchi. La storia - riportata dalla Tribune de Genève - «deve servire da esempio per altre donne» secondo il suo legale.

All'età di 28 anni K. è stata licenziata il 29 dicembre 2016, al ritorno dal congedo per la nascita del suo secondo figlio. «Non pensavo che sarebbe arrivato a tanto» spiega a distanza di un anno e mezzo. L’avvocato fornisce la motivazione con cui il datore di lavoro, che opera nel settore della vendita, si è giustificato: «Le disse che voleva poter contare su una persona al 200% e non solo al 100%. Una cosa che non avrebbe potuto esigere da una madre con due bambini». È stata mandata a casa e al suo posto è stato assunto un uomo.

Il Tribunale dei probiviri di Ginevra ha giudicato il licenziamento abusivo e discriminatorio. In base all’articolo 3 della Legge federale sulla parità dei sessi «nei rapporti di lavoro, uomini e donne non devono essere pregiudicati a causa del loro sesso, con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare o a un gravidanza». Un divieto che si applica anche nella risoluzione del contratto di lavoro.

Il principale, a posteriori, avrebbe giustificato il licenziamento con la mancanza di dimestichezza della donna con l’inglese. Un fattore di cui era a conoscenza già al momento dell’assunzione, avvenuta due anni prima. Anche durante la gravidanza, inoltre, il datore di lavoro aveva rimproverato la sua dipendente via SMS per le assenze causate dagli appuntamenti medici e perché veniva assistita dai colleghi quando si sentiva poco bene.

«È un caso che deve fare scuola» ha concluso l’avvocato difensore in merito alla sentenza.

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