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SVIZZERA«Anche un migliaio di svizzeri nei lager, ma nessuno li ricorda»

08.12.17 - 14:55
Un bimensile denuncia come nessun monumento commemora i cittadini elvetici che fra il 1933 e il 1945 furono vittima del Terzo Reich. Pochi studiosi si interessano delle loro storie...
«Anche un migliaio di svizzeri nei lager, ma nessuno li ricorda»
Un bimensile denuncia come nessun monumento commemora i cittadini elvetici che fra il 1933 e il 1945 furono vittima del Terzo Reich. Pochi studiosi si interessano delle loro storie...

BERNA - Nei campi di concentramento nazisti soffrirono anche circa un migliaio di svizzeri e non pochi finirono nelle camere a gas o furono uccisi in altro modo, ma né gli storici, né la Confederazione si interessano a loro: lo denuncia il bimensile Beobachter, che nell'ultimo numero dedica al tema un lungo articolo.

Non vi sono monumenti che commemorano i cittadini elvetici che fra il 1933 e il 1945 furono vittima del Terzo Reich. Nessuna lista di nomi di svizzeri all'estero, simpatizzanti della resistenza, ebrei, omosessuali, antifascisti o semplicemente individui sfortunati che finirono dietro al filo spinato a subirono i soprusi delle guardie.

Nel buco nero precipitarono anche persone con colpe che oggi possono apparire minime: svizzeri che avevano solo ascoltato la "loro" emittente, Radio Beromünster (quella che oggi è la radio SRF). Per questo sono state «spesso crudelmente perseguitate» e «severamente condannato a scopo di dissuasione», si legge in un dossier del Consiglio federale del 1959. Stando agli incarti conservati dall'Archivio federale almeno 723 cittadini elvetici sopravvissero ai campi di concentramento come Dachau, mentre almeno 206 furono fucilati, gasati o uccisi in altro modo.

Molti svizzeri nel dopoguerra hanno taciuto sugli atti di sadismo e di violenza subiti nei lager nazisti. Sono noti però alcuni singoli casi, come quello di una famiglia di ebrei svizzeri emigrata in Francia dopo la prematura morte del capofamiglia. Gli arresti avvennero nel 1942 e fu subito attivato il consolato, che però non si mosse: lo fece solo cinque giorni più tardi, quando i componenti della famiglia - la madre e due figli - erano già stati deportati ad Auschwitz. Il più giovane, un 18enne, morì quattro mesi dopo l'arrivo, mentre le date di decesso della sorella 20enne e della madre 45enne non sono note.

Gli storici hanno ricostruito vicende individuali come questa. Manca però un lavoro complessivo, una visione d'insieme su tutti i detenuti dei campi, sebbene la loro sorte compaia in diversi rapporti del Consiglio federale degli anni Cinquanta e nonostante esistano oltre 1600 dossier personali negli archivi federali.

«Le biografie delle vittime non sono mai state studiate sistematicamente», spiega Christina Späti, professoressa all'Università di Friburgo, in dichiarazioni rilasciate al Beobachter. "La discussione scientifica sul tema non è in linea con gli standard internazionali". Anche in importanti pubblicazioni sulle vittime europee dei nazisti, la Svizzera non viene contemplata. "Praticamente tutti i paesi dedicano alle vittime dei nazisti una lapide commemorativa. Solo in Svizzera non succede nulla. L'Olocausto viene visto ancora come una cosa che non concerne la Svizzera, anche dagli storici".

La specialista 46enne vuole cambiare questo stato di cose. "Deve nascere una consapevolezza che anche gli svizzeri sono stati vittime del terrore nazista". Come intervento minimo Späti sta pensando a un sito internet che elenchi i nomi delle vittime. Le scolaresche potrebbero così affrontare il tema attraverso un collegamento diretto. Un libro sull'argomento potrebbe uscire l'anno prossimo presso l'editore NZZ: tre giornalisti (Balz Spörri, René Staubli e Benno Tuchschmid) hanno lavorato sugli archivi federali.

Stando al Beobachter - periodico che storicamente ha sorvegliato sempre da vicino il comportamento dello stato nei confronti delle vittime di soprusi: fu per esempio in prima linea nel denunciare la vicenda dei bambini sottratti per decenni ai genitori nomadi - le autorità federali non sembrano essere minimamente interessate al tema. Nonostante la Svizzera presieda, dal marzo 2017 e per dodici mesi, l'Alleanza internazionale per la memoria dell'Olocausto (IHRA).
 
 

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