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LNA«Lugano e Ambrì squadre del mio cuore. Ho sudato per entrambe e fanno parte della mia vita»

16.03.16 - 07:00
L'ex giocatore dei bianconeri, nonché ex head-coach dell'Ambrì, Riccardo Fuhrer, ha raccontato alcuni aneddoti sulle esperienze vissute in Ticino
«Lugano e Ambrì squadre del mio cuore. Ho sudato per entrambe e fanno parte della mia vita»
L'ex giocatore dei bianconeri, nonché ex head-coach dell'Ambrì, Riccardo Fuhrer, ha raccontato alcuni aneddoti sulle esperienze vissute in Ticino
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LUGANO - L'inizio delle semifinali dei playoff di LNA è imminente e fra i tanti appassionati che si apprestano a seguire le partite c'è anche Riccardo Fuhrer. Nella sua carriera il 60enne ha militato come giocatore fra le altre squadre nel Berna, nel Friborgo, nel Lugano (con i bianconeri fece parte della rosa che vinse il primo titolo nel 1986, ndr) e ha allenato anche Berna, Ambrì, La Chaux-de-Fonds e Losanna (con queste ultime due compagini si laureò campione di LNB e centrò la conseguente promozione in LNA). Fuhrer si è intrattenuto con noi per raccontarci la sua nuova vita, qualche aneddoto di gioventù, così come le sue esperienze passate in bianconero e in biancoblù. 

Riccardo Fuhrer, qualche anno fa hai deciso di lasciare l'hockey. Cosa fai adesso?
«Sono Ingeniere e lavoro in uno studio a Berna. Mi ero laureato a Friborgo proprio prima di approdare a Lugano all'età di 29 anni, nel 1985, ma non avevo mai potuto esercitare questo mestiere che mi è sempre piaciuto moltissimo. Dieci anni fa poi, quando ne avevo 50, sono uscito dal mondo dell'hockey per rientrare nel campo della professione che ho sempre amato e che mi ha regalato e mi sta regalando moltissime soddisfazioni».

Giocatore prima e allenatore poi. Cos'è scattato nella tua mente per farti uscire definitivamente dall'hockey?
«Devo dire che nel complesso ho avuto una carriera di hockey molto soddisfacente e sono dell'idea che per riuscire in questo sport bisogna trovarsi al posto giusto nel momento giusto ed essere circondato da persone che credono in te e nel tuo lavoro. Errori ne ho fatti anch'io come tutti, ma penso che a volte sono stato giudicato in maniera sbagliata. Nelle ultime quattro esperienze in Svizzera come allenatore (Berna, Ambrì, Losanna e Visp, ndr) sono stato licenziato dopo solamente una stagione, magari anche con motivazioni non molto soddisfacenti per me. All'ultima mi sono poi detto che probabilmente ero diventato di troppo e mi sono reso conto che non riuscivo più a dare quello che volevo. Ho così deciso di cambiare strada: avevo 50 anni ed ero obiettivamente ancora in tempo per rientrare nell'altra passione della mia vita. Ci ho provato e proprio adesso sto festeggiando i dieci anni di lavoro in ingegneria. Sono davvero soddisfatto della scelta».

...cosa non ha funzionato ad Ambrì?
«Sono arrivato in Leventina nel mese di novembre del 2002 e l'obiettivo era quello di centrare i playoff. Ho preso la squadra che era all'11esimo posto in classifica e alla fine abbiamo concluso la regular season in settima posizione. Avevamo svolto un buon lavoro, raggiungendo l'obiettivo stagionale. Poi però nei playoff abbiamo affrontato il Davos che era arrivato secondo. Abbiamo perso le prime tre partite e qualche ora prima di disputare gara-4 sono stato licenziato. In quel contesto non ho avuto la risposta che mi aspettavo dalla società. In seguito a Visp è successa la stessa cosa e nel mezzo c'è stata l'esperienza all'estero nel Bolzano, è stata interessante ma non era quello che cercavo in quel momento. Così ho salutato tutti e ho deciso di lasciare». 

Oltre a questo sentimento negativo, che altri ricordi hai del Ticino?
«Ad Ambrì mi ricordo che appena arrivato mi dissero: "Riccardo l'unica cosa che devi fare è vincere contro il Lugano, così sei a posto". All'epoca eravamo riusciti a battere non solo i bianconeri, ma anche Berna e Zurigo che erano molto forti. Nella vittoria contro il Lugano è stato davvero emozionante sentire la gioia immensa dei tifosi mentre intonavano la Montanara. Nonostante il mio contributo fosse stato minimo quella volta, sentirli così felici fu un enorme piacere. A Lugano invece ero ovviamente molto più giovane ed è stata una bellissima esperienza, non solo sportiva ma anche a livello professionale, visto che ho avuto la possibilità di lavorare per lo studio di ingegneria Mantegazza-Cattaneo a Sorengo. Ho svolto dei piccoli lavoretti statici sull'autostrada fra Airolo e Lugano. A livello di hockey è andato tutto molto bene, fino al momento in cui Slettvoll mi mise fuori squadra e mi licenziò in una delle ultime partite della finale poi vinta contro il Davos. Quella era un'ottima squadra e Slettvoll era un grande allenatore che aveva portato una nuova identità svedese: in quel momento era il massimo che si poteva avere». 

Ambrì o Lugano, chi preferisci?
«Sono entrambe due squadre del mio cuore, così come il Berna e tutte quelle per cui ho giocato o che ho allenato: ho portato i loro colori, ho sudato con loro e per loro, dando tutto quello che avevo in corpo. Lugano e Ambrì fanno parte della mia vita e sono contento di aver potuto vivere queste esperienze».

...e l'hockey non ti manca?
«Seguo sempre l'hockey con molto piacere e non sono uscito del tutto da questo mondo. Da dieci anni seguo infatti una sessantina di partite all'anno: tutte quelle che si giocano sia a Berna che a Friborgo, così come quelle di mio figlio che milita in LNB nel Turgovia. Ho iniziato a giocare che ero un bambino e questo sport farà sempre parte della mia vita. Quando guardo ogni partita dal vivo mi viene sempre quella voglia di fare qualcosa e penso sempre che potrei essere ancora in grado di aiutare qualche squadra. Chissà, forse in un futuro mi capiterà l'occasione giusta e potrei anche decidere di tornare in questo mondo che mi ha dato tanto e che mi ha fatto crescere come uomo». 

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