Gli azzurri sono partiti calciatori e tornati (quasi) eroi
In Inghilterra si cercano i colpevoli per una disfatta incredibile.
ROMA - Da una parte della Manica, a nord, si cercano i colpevoli per una sconfitta che in pochi credevano possibile. Dall’altra, a sud ovviamente, si celebra la rinascita di una nazionale data per morta solo tre anni fa e ora, invece, tornata a strillare tutta la sua voglia di protagonismo.
Il day-after dell’Europeo ha spaccato a metà il Vecchio continente. Anche nei paesi “neutrali” si è infatti disquisito sul tonfo inglese e sulla gioia italiana. Ma se, insulti e polemiche a sfondo razziale a parte, per quanto riguarda la selezione dei Tre Leoni ci si è concentrati soprattutto su quanto successo nei rigori, degli azzurri si è invece raccontato tutto il torneo. Un campionato affrontato con personalità, gioco e coraggio, la cui vittoria ha riportato il sorriso in strade e piazze del Belpaese, quasi fosse di buon auspicio per il futuro prossimo. Come al solito, anzi più del solito, il trionfo sportivo è stato “usato” per far passare un messaggio. Invece che sinonimo di potenza, grandezza, infallibilità; in questo caso però la coppa è stata accostata alla speranza. Alla riuscita (di qualcosa che sembra difficilissimo). Mancini e i suoi ragazzi sono diventati i simboli di una ripartenza che in molti in Italia vedevano, vedono, come appunto difficilissima. Per questo sono immediatamente finiti al Quirinale, da Sergio Mattarella, e a Palazzo Chigi, da Mario Draghi. Giusto? Comprensibile, piuttosto. Nel ruolo “istituzionale”, comunque, gli azzurri si sono calati dopo una notte insonne, fatta di celebrazioni e feste, più o meno intime. Perché in fondo di ragazzi si tratta: qualcuno li vorrebbe eroi, ma loro hanno “solo” giocato, coronando un sogno che di sicuro coltivavano fin da bambini.