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L'OSPITEMourinho “sgasato”: «Era uno champagne, ora è solo uno spumante senza troppe bollicine»

26.10.16 - 09:37
Nervoso, poco cattivo, poco vincente: cosa sta accadendo allo Special One? «Deve ritrovare stimoli e, magari, rinnovare il suo staff. Le conferenze show sono solo un ricordo»
Mourinho “sgasato”: «Era uno champagne, ora è solo uno spumante senza troppe bollicine»
Nervoso, poco cattivo, poco vincente: cosa sta accadendo allo Special One? «Deve ritrovare stimoli e, magari, rinnovare il suo staff. Le conferenze show sono solo un ricordo»
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MANCHESTER (GBR) – Una vagonata di sterline spese, tanto clamore, qualche intervista a muso duro e la Community Shield. Fino a questo momento il regno di José Mourinho a Manchester (sponda United) ha prodotto solo questo. Ha costretto i proprietari del club ad aprire il borsellino, anzi, il caveau, e poi ha regalato tanto, tantissimo, fumo. L'arrosto non si è visto. Non si è visto nel gioco, lento, macchinoso, a volte irritante, dei Red Devils. Non si è visto nei risultati. Dopo nove turni di campionato Ibrahimovic e soci sono infatti solo settimi, hanno subito già tre sconfitte, segnato pochino (tredici reti) e incassato decisamente troppo (dodici gol).

E quello di Manchester è solo l'ultimo di una serie di balbettii che sta diventando piuttosto lunga per lo Special One, parso infallibile o quasi fino al 2010, anno dello storico triplete nerazzurro, ma poi mai più tanto continuo. Nelle ultime sei stagioni il portoghese ha vinto un titolo con il Real Madrid e un con il Chelsea, questo è vero; è però anche stato costretto a ingoiare parecchi bocconi amari. Nei tre campionati spagnoli “disputati” si è seduto due volte alle spalle del Barcellona di Guardiola. Nella sua seconda avventura al Chelsea, oltre a una Premier, ha colto un terzo posto e... un esonero. Risultati non certo fantastici per chi, sta accadendo pure ora allo United, si mette sempre al volante di una delle due-tre fuoriserie più competitive della corsa.

«È in una fase di appannamento. È vero, non è solo una sensazione – è intervenuto Arno Rossini – José Mourinho non è più decisivo e determinante come un tempo, sembrano gli manchino cattiveria, grinta, lucidità. Sembra sia appagato. Era uno champagne, ora è uno spumante senza troppe bollicine. Questo “calo” lo si può vedere, nettamente, anche nelle sue conferenze stampa. Fino ai tempi del'Inter, o nel primissimo periodo del Real Madrid, erano dei veri e propri show. Ricordate il “rumore dei nemici”? Negli ultimi anni oltre ad attaccare i giornalisti ha fatto poco».

Dopo aver vinto tanto e guadagnato milioni, forse è anche naturale. In fondo stiamo parlando di un mestiere che ti impegna diciotto ore al giorno...
«Anche di più, soprattutto a quei livelli. E stiamo parlando di un mestiere nel quale non puoi rallentare un secondo, non puoi lasciare nulla al caso. Altrimenti i risultati non arrivano».

I giocatori capiscono se tu non sei sempre “sul pezzo”?
«Sono i primi. E se possono ne approfittano. Così finisce che in allenamento danno il 99% invece che il 101%. E i risultati poi si vedono in partita».

Qual è il problema del portoghese, è forse solo stanco?
«Per essere sempre davanti a tutti, per dare il meglio di te, devi avere sempre degli stimoli nuovi. Forse questi sono ultimamente un po' venuti meno. A José come anche al suo staff. Ecco, questo è un punto da prendere assolutamente in considerazione: salvo pochissimi elementi, il tecnico lusitano è attorniato da anni sempre dalle medesime persone. Cominciando da Rui Faria e procedendo con un manipolo di altri fedelissimi, Mourinho si serve sempre della stessa squadra. Forse ciò, dopo tanto, è un limite. Appagate possono anche essere queste persone. E poi i metodi di allenamento, di scouting, la valutazione fisica dei giocatori... se nel tuo staff inserisci periodicamente professionisti diversi, sei certo di essere sempre all'avanguardia...».

Se invece non cambi, può essere che i metodi che ti hanno fatto vincere fino a qualche stagione fa ora siano vetusti.
«Perfetto».

Come si fa a risollevarsi?
«Staccando la spina per un po'. E, come detto, cercando di contornarsi di uno staff stimolante».

Come ha fatto Ancelotti?
«Per esempio. Dopo la Spagna Carlo ha approfittato di un piccolo intervento al quale si è sottoposto per prendersi una vacanza. Quando è arrivata la chiamata del Bayern Monaco era, in questo modo, più che carico. Ha accettato, ha ricomposto uno staff di alto livello – ha chiamato anche suo figlio – e si è rimesso al lavoro».

Quello, stressantissimo, dell'allenatore, non può essere considerato un mestiere a tempo? Il discorso non vale per tutti, questo è certo; non può in ogni caso essere normale “mollare” e godersi la vita, o rimanere nel calcio con altri ruoli, dopo 15-20 anni di panchina?
«Molti ex allenatori si riciclano commentatori tecnici o fanno i dirigenti. Però il discorso è “personale”. Guardate per esempio Advocaat, che ha accettato di guidare il Fenerbahçe a 70 anni. O guardate Lippi, selezionatore della Cina più o meno alla stessa età. E lì i soldi non contano è tutta questione di voglia: che ti cambia avere in banca 50 milioni piuttosto che 40?».

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