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L'OSPITE(Ri)trovare il senso di sazietà

10.12.20 - 14:10
Marco Noi, Verdi del Ticino
tipress
(Ri)trovare il senso di sazietà
Marco Noi, Verdi del Ticino

In queste ultime settimane si è discusso molto di urbanizzazione, di sfitto e di calo demografico del Ticino. Particolarmente ricche si spunti di riflessione sono state due trasmissioni radiofoniche: a Modem Sfitti alle stelle - RSI Radiotelevisione svizzera e a Millevoci Il futuro della Città Ticino - RSI Radiotelevisione svizzera. Questi approfondimenti hanno tematizzato le diverse incognite (tasso di sfitto in crescita e calo demografico in primis) di tutte queste progettualità e visioni urbanistiche che si orientano al concetto di Città-Ticino.

L’immaginario prospettato da tutto questo proiettarsi in nuovi progetti edificatori è che l’immobiliare e l’urbanizzazione in generale possano continuare a crescere indefinitamente o quantomeno – qualcuno dice – fino a una certa massa critica (ma quale sarebbe?).

Una prima constatazione, d’obbligo in un tempo dove si parla accoratamente di sostenibilità, è legata a come la l’attuale urbanizzazione e quella del futuro possano “pesare” sul territorio. Da una ricerca svolta nel 2008 dall’Osservatorio dello sviluppo territoriale dell’USI (L’impronta ecologica del Canton Ticino, Microsoft Word - IE sintesi2 (ti.ch)), è stato rilevato che tale “peso” era più del doppio di ciò che il Ticino può sostenere. Questo significa che il carico in eccesso viene sostenuto consumando il capitale ecosistemico del nostro territorio a scapito delle future generazioni, e allo stesso tempo sottraendo risorse ad altri territori (soprattutto dei paesi meno sviluppati) sui quali si istituisce una sorta di ipoteca “legale” per addebitarvi parte dei nostri carichi. Sarebbe interessante sapere quanto il Canton Ticino pesa oggigiorno con 25'000 abitanti in più rispetto al 2008, per capire se la crescita si sta sposando con il riuscire a riportare i nostri carichi dentro i confini (quelli della sostenibilità) a noi concessi senza evidentemente addebitarli ad altri.

Una seconda riflessione, va fatta rilevando il sempre più marcato richiamo della politica economica all’attrazione di risorse (finanziarie, forza lavoro, abitanti/clienti) dall’esterno del nostro “sistema paese”, soprattutto alla luce di un calo demografico già rilevato e che potrà perdurare per i prossimi tempi. Il reiterato insistere sull’attrarre contenuti dall’esterno, fa chiaramente capire che il sistema eretto e proiettato nel futuro non può essere sostenuto con le nostre sole forze, per cui dobbiamo andare a sottrarle ad altri. Rovesciando il ragionamento, potremmo dire che abbiamo concepito un sistema paese con un metabolismo sproporzionato che deve “precettare” risorse altrui per poter essere sostenuto.

Se allarghiamo il nostro sguardo, possiamo però vedere che tutti i paesi industrializzati hanno le nostre stesse aspirazioni. Tutti vogliono ancora crescere, attirando a loro volta (come aspiratori) risorse per alimentare il proprio “sistema paese”. Se poi pensiamo ai paesi non ancora arrivati al nostro standard di vita e che legittimamente vorrebbero accedervi aumentando il proprio metabolismo produttivo/consumatorio (ricordiamo che questi rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione mondiale), possiamo immaginare quanto impossibili siano le aspirazioni di ulteriore crescita di chi è già cresciuto, a meno che si ipotizzi di farlo a scapito di altri. Non è dunque un caso che gli accodi di Parigi sul clima, si sono arenati sul contenzioso tra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati.

Il recente documentario di Storie Come un salmone in Leventina - RSI Radiotelevisione svizzera, ci ha però ben mostrato che queste dinamiche di impari contesa, sono presenti anche a livello locale, dove il centripetismo dei poli urbani costituenti la cosiddetta Città-Ticino (che a loro volta si contendono l’un l’altro le risorse) impoverisce gli altri territori, impedendone la crescita o quantomeno il loro mantenimento, esattamente come un grande centro commerciale impoverisce i piccoli commerci locali, o un nuovo grande complesso immobiliare svuota il tessuto immobiliare preesistente. Verrebbe da chiedersi se queste dinamiche mettono in rete e creano veramente sinergie oppure se piuttosto non “irretiscono” in monopoli monoculturali.

Forse, se vogliamo definirci “società o cultura della conoscenza”, sarebbe meglio riflettere sulle dinamiche (forzanti) insite del nostro sistema e dove ci stanno portando. Un sistema che non ha ancora trovato un senso dell’equilibrio tra forza centripeta e forza centrifuga, tra trattenere e lasciare, tra acquisire e dare. Un po’ come se un sistema rimuovesse il senso di sazietà, restando così con la sola fame, diventata ormai compulsiva perché costantemente alla ricerca di ciò che ha rimosso. Così come con gli oggetti da produrre e consumare, ci comportiamo con il territorio, consumandolo e consumandone in maniera compulsiva le sue qualità (indice di sfruttamento edificatorio, biocapacità ecosistemiche, qualità paesaggistiche, storiche e culturali) illudendosi che queste poi magicamente si riprodurranno e rigenereranno per le future generazioni.

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