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L'OSPITEDifendere la RSI ascoltando chi ci lavora

08.12.20 - 20:00
Segretario politico del Partito Operaio e Popolare
Gianfranco Cavalli
Difendere la RSI ascoltando chi ci lavora
Segretario politico del Partito Operaio e Popolare

Nel 2021 si sentirà parlare molto della RSI, non solo per il cambiamento previsto nella direzione, ma anche per tutti gli avvenimenti più imbarazzanti che stanno avendo luogo al suo interno e che sono legati strettamente a un certo tipo di amministrazione.

A rischio di sembrare ripetitivo, bisogna però risalire alla causa che sta dietro, tanto ai tagli continui vissuti negli ultimi anni (la cui ultima vittima è Rete Due), quanto ai deplorevoli episodi di abusi di potere e molestie denunciati dal sindacato SSM che, a rivelarsi veri, metteranno ancora di più in cattiva luce l’istituzione.

La causa di tante disgrazie è il metodo di gestione manageriale, un funzionamento che ha colpito tutte le aziende pubbliche, oggi parastatali, che hanno messo il profitto al centro del loro interesse e non più la fornitura di un servizio che sia accessibile (se non gratuito) alla maggioranza della popolazione.

La ricerca del profitto e dell’autofinanziamento sentenzia che una Rete Due, già indebolita, non abbia senso di esistere così come la conosciamo, proprio perché è la più “culturale” fra le emittenti di Comano. La stessa ideologia impone inoltre una gestione estremamente verticale, che, attraverso le sue gerarchie ben definite, ha creato nel tempo delle situazioni di abuso accompagnate da un senso di omertà. Non è un caso infatti che, tanto in Ticino quanto nella Svizzera romanda, i casi di abuso siano emersi proprio quando questa struttura gerarchica stava vivendo dei cambiamenti.

La RSI soffre però di una doppia condanna, non solo le si impone di giocare secondo le leggi del mercato, ma in più offre un servizio che, nell’era della digitalizzazione, è sempre meno appetibile per il mercato stesso. Questa dannazione è però la prova più lampante che il sistema manageriale non è quello che bisognerebbe imporre quando di un servizio pubblico si tratta, perché nella cultura e nell’informazione, così come in tanti altri settori, non devono essere i soldi a farla da padrone ma un benessere che vada ben al di là di esso e che dovrebbe essere universalmente garantito.

Infine, noi cittadini abbiamo l’obbligo di denunciare questi fatti, bisogna sfatare il mito, troppo presente a sinistra, che criticare un servizio pubblico significhi indebolirlo. È chiaro, il fronte borghese non cesserà il suo attacco, ma se vogliamo la sopravvivenza (se non il rafforzamento) della RSI è proprio una critica profonda e un cambio di paradigma che ci vuole.

Non salveremo il servizio pubblico girando la testa dall’altra parte di fronte ai suoi errori, ma criticandolo e cercando di dargli gli strumenti, anche democratici, per difendersi dagli incessabili attacchi di chi misura il tutto secondo quanto costa e non secondo quanto vale.

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