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L'OSPITEMercosur: diritti umani e clima prima del profitto

02.09.19 - 16:15
Jessica Bottinelli (candidata al Nazionale, Verdi e Sinistra Alternativa) e Giulia Petralli (candidata al Nazionale, Verdi e Sinistra Alternativa – Giovani Verdi)
Mercosur: diritti umani e clima prima del profitto
Jessica Bottinelli (candidata al Nazionale, Verdi e Sinistra Alternativa) e Giulia Petralli (candidata al Nazionale, Verdi e Sinistra Alternativa – Giovani Verdi)

Mentre il polmone della terra bruciava, gli Stati dell’AELS (tra cui la Svizzera) e del Mercosur (tra cui il Brasile) concludevano i negoziati di un accordo commerciale.

Ai nostri occhi è inimmaginabile contrattare con paesi i cui governi hanno apertamente affermato che il cambiamento climatico non è nulla più di un’ideologia senza prove certe. Affermazioni gravi e propagandistiche che si sono progressivamente istituzionalizzate attraverso politiche miopi e dannose.

Al tavolo delle trattative è ben chiaro che gli interessi delle parti più implicate dall’accordo non erano rappresentati: i patrocinatori della natura e delle comunità indigene erano infatti assenti. In merito a quest’ultimi, i negoziati del Mercosur non sembrano affatto aver rispettato il principio del ‘Consenso libero, preventivo e informato’, ovvero il diritto di una comunità locale di concedere o negare il proprio benestare a progetti che condizionano le terre che occupano o usano (così come sancito dalla convenzione ILO 169 sui popoli indigeni e tribali, ratificata dal Brasile). Sia il diritto internazionale che quello nazionale attribuiscono alle popolazioni indigene la legittima proprietà delle terre che occupano, indipendentemente dal possesso di un titolo rilasciato dallo Stato. In paesi come il Brasile (e il Paraguay) l'estrazione di risorse naturali sempre più ingorda e l'aumento di progetti commerciali a scapito delle terre sono una delle più gravi fonti di violazione dei diritti fondamentali dei popoli indigeni.

Abusi che sebbene siano perpetuati da decenni hanno registrato un’impennata dopo l’elezione di Bolsonaro. Poche ore dopo il suo insediamento ha trasferito il FUNAI (l'ufficio per gli affari indigeni che si occupa della mappatura e della protezione delle terre abitate dalle comunità indigene) al Ministero dell'Agricoltura — una manovra volta a favorire le aziende agricole tramite una maggiore concessione di risorse terriere. Lo stesso Ministero ha anche il controllo del Servizio Forestale Brasiliano, che si occupa di promuovere lo sviluppo sostenibile nelle foreste, tra cui l’Amazzonia. Sostenibile è un eufemismo, dato che si è registrato in poco tempo un aumento del 67% del tasso di disboscamento della regione. La deforestazione, ricordiamolo, è praticata soprattutto per allevare bestiame ed estendere le coltivazioni intensive di soia — destinate innanzitutto a mangimi animali.

Pertanto se l’AESL (e l’UE) concludesse accordi commerciali con il Mercosur, l’industria agroalimentare esploderebbe ulteriormente aggravando lo stato delle loro risorse della regione ma soprattutto avrebbe dei gravi echi sulle comunità indigene che verrebbero private ulteriormente della loro terra, anche per mezzo della forza. Le terre che bruciano in Brasile sono l’esistenza delle popolazioni che vi abitano.

I patrocinatori della natura e i rappresentati delle comunità indigene non hanno potuto stringersi le mani l’uno con l’altro rivendicando i propri diritti all’interno di un progetto che li coinvolge tutti, poiché costretti ad alzare le stesse in segno di resa verso un sistema che, ancora una volta, sacrifica il clima e diritti umani all’altare del profitto.

Per anni abbiamo finto che questi problemi non fossero nostri. Come ci si sbagliava. Il cambiamento climatico e il rispetto dei diritti degli esseri umani è una questione transnazionale che tocca tutti. I Verdi non resteranno a guardare, se le trattative venissero concluse sono pronti a lanciare un referendum. 

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