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L'OSPITEDigitalizzazione, lavoro e formazione

06.01.18 - 13:35
Bruno Storni
Keystone
Digitalizzazione, lavoro e formazione
Bruno Storni

Il 2017 ha visto al centro dell’attenzione il dibattito sulla digitalizzazione su industria 4.0 e il futuro del lavoro, nuovi studi e ipotesi teoriche sull’occupazione, Nazioni che si danno un’agenda digitale ma anche fatti concreti come la recentissima notizia che anche le nostre FFS stanno già sperimentando treni a guida automatica: il macchinista rimane ma si aumenta del 30% la capacità della rete ferroviaria. Si cita sovente lo studio Frey Osborne Uni Oxford del 2013 che ha analizzato 700 professioni negli USA giungendo alla conclusione che il 47% è a rischio computerizzazione. Lo studio da più parti criticato come pessimistico e rivisto al ribasso (solo 12% in Germania) dimostra quanto difficile sia far previsioni sull’occupazione fra 10 o 20 anni.

Effettivamente contrariamente a quanto si crede di percepire la digitalizzazione non sembra aver ancora causato una diminuzione generalizzata dell’occupazione. Oggi i prodotti di altissima tecnologia più venduti, gli smartphone, sono ancora assemblati a mano in immense fabbriche che danno lavoro a centinaia di migliaia di persone nelle province industriali cinesi, lavoratori neoconsumatori che a loro volta creano lavoro.

La digitalizzazione c’è già

Digitalizzazione che di fatto è in corso da anni e che chiaramente ha già eliminato posti di lavoro e ridotto all’osso certe professioni.

Da tempo ormai preleviamo contanti dal nostro conto senza far capo ad un/a cassiere/a, facciamo il pieno dell’autovettura senza il/la pompista, acquistiamo il biglietto del treno o dell’aereo senza alcuna interazione umana. Stiamo iniziando anche a fare il cassiere “fai da te” al supermercato, e inseriamo il passaporto in un sistema computerizzato di identificazione facciale agli aeroporti con il doganiere che interviene solo se qualcosa va storto. Perfino l’imbarco sull’aereo in certi scali avviene senza interazione umana con l’apertura del portello elettronico attivato con la scansione della carta d’imbarco dal cellulare o stampata a casa, tutto fai da te.

La digitalizzazione ha trasferito tante piccole operazioni di servizio all’utente, sono già molti i posti di lavoro sostituiti da sportelli elettronici e dal nostro fai da te, d’attualità nel 2017 in Svizzera sono stati gli uffici postali. Digitalizzazione che ci ha portato ad acquisire nuove competenze per fare il lavoro soppresso ad altri.

Lavoro perso proprio nel settore dei servizi che viene spesso indicato come quello che dovrebbe compensare i posti di lavoro nel settore manifatturiero sottratti dalla robotizzazione.

Con il neologismo Industria 4.0 si intende la prossima ondata digitale resa possibile dalla continua miniaturizzazione elettronica che produce processori e memorie sempre più potenti offrendo capacità di calcolo e di dati per applicazioni informatiche complesse (machine learning, realtà virtuale, reti di oggetti,..). Ad esempio nel campo dei servizi si lavora su sistemi (chatbots) che sostituiranno call center e le consulenze di esperti sempre con lo scopo di risparmiare manodopera sostituendola con macchine.

Quali misure adottare?

A fronte delle ipotesi sulle perdite di posti di lavoro si dibatte su come la società possa reagire, dalla tassa sui robot, alle settimana di 25 ore, al reddito di base incondizionato, a divieti di automatizzare servizi o del fai da te, ad esempio in Africa del Sud i distributori di carburante sono tutti serviti da personale, c’è una legge che vieta di fare il pieno da se che garantisce lavoro a 70mila persone.
 
Ma come detto fare previsioni è difficile e finora malgrado la digitalizzazione sia in corso da tempo in Svizzera assistiamo ad un aumento dei posti di lavoro + 23% dal 2000 con il settore servizi in forte crescita. Nel settore secondario la perdita di posti di lavoro è però solo in parte dovuta a robotizzazione perché il grosso è frutto di delocalizzazione industriale verso Paesi meno costosi per via del rafforzamento del Franco.

L’esempio del nostro Paese indica che le dinamiche dell’occupazione sono determinate non solo dalla digitalizzazione ma da altri fattori di politica economica esterni o interni: dagli accordi sul commercio, dai piani di sviluppo economico e tecnologico della dirigenza cinese, dalla politica monetaria delle banche centrali e naturalmente dal nostro sistema economico e politico.

Svizzera isola felice?

In Svizzera l’occupazione non è crollata ma è cresciuta sebbene la maggior parte delle professioni siano ormai supportate dalla digitalizzazione, e malgrado le diverse crisi economiche: dalla bolla dotcom inizio millennio alla crisi finanziaria del 2008, all’abbandono del tasso di cambio fisso nel 2015, alle pressioni internazionali sul segreto bancario.

Chiaramente abbiamo avuto delle negatività, salari al ribasso in certi settori e la fascia degli over 50 che subisce più duramente le ristrutturazioni dovute a processi di innovazione ma anche ottimizzazioni economiche di aziende che hanno facilità ad assumere giovani a costi inferiori. Over 50 che in caso di perdita del lavoro hanno grandi difficoltà a ritrovarne uno finendo sovente in assistenza. Un problema che potrebbe aggravarsi e che va affrontato proteggendo meglio contro i licenziamenti sostitutivi, facilitando una nuova formazione a coloro ai quali la digitalizzazione ha tolto mercato e i salari minimi.

Intanto in Svizzera pur considerando i perdenti, possiamo ancora consideraci un’isola felice (meno in Ticino). A livello europeo le problematiche dell’occupazione sono ben altre in particolare l’elevato tasso di disoccupazione giovanile. La differenza principale con il nostro Paese, oltre alla struttura economica, è la formazione troppo accademica di molto Paesi EU per rapporto al sistema duale svizzero che attraverso l’apprendistato facilita l’integrazione di un maggior numero di giovani nel mondo del lavoro. La sfida concreta della digitalizzazione e industria 4.0 sarà a livello di formazione di base e continua che andrà curata e sviluppata soprattutto in termini qualitativi ma anche innovativi ad esempio sul modello dei crediti di aggiornamento o di riqualifica.

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