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LuganoNel libro "Fortuna" il migrante è europeo e per sopravvivere deve raccogliere "like"

03.12.21 - 06:30
Il nuovo libro del candidato premio Nobel 2020 Nicolò Govoni verrà presentato questa sera al Cinestar di Lugano
Still I Rise
Nel libro "Fortuna" il migrante è europeo e per sopravvivere deve raccogliere "like"
Il nuovo libro del candidato premio Nobel 2020 Nicolò Govoni verrà presentato questa sera al Cinestar di Lugano

LUGANO - Cosa succederebbe se fosse l'europeo a dover migrare? In un racconto esasperato il direttore esecutivo dell'Onlus Still I Rise e candidato premio nobel 2020 Nicolò Govoni narra una migrazione all'inverso. Dove «siamo noi e non loro» a finire in un campo profughi. Lì a ognuno viene dato uno smartphone sul quale è installato il social "Fortuna", una piattaforma che obbliga il migrante a disumanizzarsi per compiacere un benefattore senza volto. Questa sera alle 18:00 Govoni presenterà il suo romanzo al Cinestar di Lugano. L'ingresso è a offerta libera e i posti sono limitati a 214. È richiesto il Covid Pass. Seguirà un rinfresco.

Come nasce l'idea del libro?
«C'è un divario tra le narrazioni con cui siamo a contatto: noi e l'altro. "Fortuna" vuole chiudere questo divario. Questa migrazione è reale, è già in atto. Quello che faccio io nel libro è invertire le parti: è un'Europa al collasso. Siamo noi che cerchiamo rifugio nelle coste africane e asiatiche».

C'è un po' del suo in questa storia?
«È un romanzo autobiografico. Si rifà a elementi molto reali. Ci sono due macro aree: una è la migrazione, l'altra è l'aiuto umanitario attraverso la tecnologia. E sono due cose vere. Perché ci sono persone che fuggono e arrivano in questi campi in cui vengono di nuovo oppresse. Il lato tecnologico è esasperato sì perché "Fortuna" è una piattaforma social che permette ai suoi utilizzatori di utilizzare i "like" come valuta di scambio, ma non si allontana poi tanto dalla realtà. Esiste già quest'aspetto del dover compiacere per un migrante un benefattore. Deve mostrarsi nel suo momento di più grande vulnerabilità affinché ci sia questa entità invisibile e senza volto si senta impietosita e doni. Le raccolte fondi attraverso i social funzionano così».

Come funziona "Fortuna"?
«Come i nostri social di oggi. "Fortuna" obbliga le persone a fare questi video e a esibirsi nel modo in cui il benefattore si aspetta. In questo mondo le persone sopravvivono grazie ai "mi piace": più puoi comprare cibo e vestiti, per esempio. Si crea questa narrazione del: "sì, siamo profughi, ma siamo forti, degli eroi. Siamo grati al sistema". E questo già accade nel mondo. Perché abbiamo creato questo profilo del migrante perfetto, che è la persona che arriva e subito si integra, che subito impara la lingua, non ha problemi culturali, non si lamenta, non vuole il wifi, mangia la pasta e non ha lo smartphone. Ma è disumanizzante. Non c'è uno stampino. Ogni migrante è un essere umano e come tutti noi è diverso».

Quanto è importante avere un social?
«Prendiamo Facebook/Meta, non vuole essere più qualcosa dedicato all’individuo, ma diventare istituzionale. Devi averlo perché ti facilita la vita. Per me i social sono una maledizione perché per il nostro lavoro non possiamo rinunciarci. Noi rifiutiamo attivamente fondi dai governi, dall'Ue e dall'Onu. Questo vuol dire che dobbiamo farci una raccolta fondi da soli. Quindi da un lato c'è qualcosa di positivo, perché grazie a loro c'è una grande diffusione delle informazioni, ma dall'altro io non mi sento debitore in alcun modo. Perché prendono di più di quello che ci hanno dato».

Come mai rifiutate i fondi dall'Onu?
«A Samos, in Grecia, dove abbiamo fondato Still I Rise, c'è un hotspot per migranti. È un campo statale, quindi il suo gestore diretto è il governo. Fa parte di un progetto europeo, perciò riceve fondi dall'Onu. Gli hotspot sono luoghi terribili. Il picco della crisi a Samos ha visto 7'000 persone rinchiuse in uno spazio fatto per 650. Questo ha dato forma a dei disagi incredibili. Nel vedere enti così forti e così potenti avere un livello alto di negligenza, abbiamo deciso di non allinearci. Certo, collaboriamo e scambiamo informazioni, ma per quanto riguarda la questione finanziaria preferiamo non avere dei vincoli».

Spesso al centro di storie che parlano di migrazione ci sono dei bambini. Come mai?
«Esistono delle gerarchie per i migranti, che possono definirsi anche il in base al paese o all'età, dove il bambino sta al primo posto e seguono donna, anziano e uomo. Il pubblico è diventato così indifferente, che solo l'istinto primordiale della protezione del piccolo può ancora smuoverlo. Parlare della crisi umanitaria di un paese mostrando solo i bambini è anche un atto di neocolonialismo. Si crea una differenza di potere per cui la persona che aiuta, che dona, si sente superiore perché è il salvatore».

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