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Così “The Closer” ha generato la tempesta perfetta

STREAMINGCosì “The Closer” ha generato la tempesta perfetta

18.10.21 - 06:30
Lo special comico di Dave Chappelle, tacciato di omofobia e transfobia, ha scosso i social e anche Netflix, ecco come
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Così “The Closer” ha generato la tempesta perfetta
Lo special comico di Dave Chappelle, tacciato di omofobia e transfobia, ha scosso i social e anche Netflix, ecco come

NEW YORK - Quando esplode una tempesta mediatica uno degli scenari possibili è che, dopo un po', la faccenda si plachi. L'altro è che invece sfugga poi di mano finendo per travolgere un po' tutti, come un tornado. È proprio questo quello che è successo dopo che Netflix lo scorso 5 ottobre ha pubblicato “The Closer”, l'ultimo special del comico americano Dave Chappelle.

Per chi non lo conoscesse, Chappelle è uno dei più famosi “stand-up comedian” americani, e senza dubbio una voce importante sulla questione afroamericana. È un impenitente e irriverente satirista con una passione estrema per provare, sempre e costantemente, a spostare l'asticella un po' più in là in cerca della risata, ma non solo.

È il caso di quest'ultimo spettacolo per Netflix, che segue l'assai criticato e precedente “Stick & Stones” e si concentra volutamente sull'aspetto di quest'ultimo che aveva fatto alzare più sopracciglia: ovvero il suo sbeffeggiamento del movimento Lgbtqi+ e soprattutto una serie di battute sulle persone trans.

In “The Closer”, Chappelle non lascia, anzi raddoppia: fra altre battute, giustificazioni ed exursus che – ovviamente – possono essere condivise e far ridere, oppure anche no (vedi box qui sotto). A chi sicuramente tutto questo non è piaciuto per niente è la comunità arcobaleno che ha infiammato i social di critiche, chiedendone l'immediata rimozione.

Virulenta anche la reazione interna a Netflix stessa, con proteste molto vocali – e anche uno sciopero, previsto per questa settimana – di/delle dipendenti trans e simpatizzanti. Un dialogo furibondo, portato avanti su social e nei forum aziendali che ha costretto anche il gigaboss, Ted Sarandos, a prendere posizione in maniera un po' maldestra difendendo la scelta della messa in onda.

Culmine di tutto, la fuga di informazioni finanziarie riguardanti “The Closer” costato 24 milioni (contro i 21 della hit senza precedenti “Squid Game”) e pure il lavoro alla dipendente whistleblower. Un bel tornado, non c'è che dire. E se Chappelle al termine dello show afferma di aver finito con la comunità lgbtq, la sensazione è che loro, con lui e Netflix, abbiano appena cominciato.

Ridere sì, oppure no

Entrare nel merito del fatto che “The Closer” funzioni o meno, se se la giochi nel lecito oppure in palese offside non è affatto semplice e richiederebbe un sacco di exursus - sull'etica, la filosofia della comicità e la libertà d'espressione - che molto probabilmente a voi lettori interesserebbero poco.

Alla domanda, fa ridere? Anche qui la risposta è duplice, dipende cosa vi tocca e cosa no, quali sono i vostri valori e quanto siete disposti ad alzare uno sghignazzo malgrado possiate non essere al 100% d'accordo con quello che viene detto. Se c'è una cosa che si può appurare, senza entrare nel merito contenutistico, è che quello di “The Closer” è un Chappelle in forma, fra il discreto e il buono, ma non un ottimo Chappelle.

La sua chiave di volta, per affrontare la questione Lgbtqi+, è semplicemente la sua. Quella del satirico intrinsecamente afroamericano: che scardina le convenzioni bianche che, di fatto, hanno cambiato la società e l'ambito in cui lavora instillando quel "politcally correct" - anche se chiamarlo così è davvero sbagliato - che non manca di portare levate di scudi.

Un atteggiamento verso il cambiamento del sistema di valori, quello del comico, che pare per certi versi reazionario e un po' stona con l'intento satirico suo, che è da sempre stato se non altro eversivo e diretto a un establishment bianco americano che potente lo è davvero.

L'impressione, puramente personalissima di chi scrive, è che qui gli sia un po' sfuggito il fatto che dietro al suo tanto paventato «quelli dell'alfabeto», vi siano tantissime persone - anche afroamericane - che quotidianamente devono lottare anche solo per esistere. Insomma, comunque la si guardi e pensi, è difficile che si possa parlare di un centro pieno.

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