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Le litigate con Ozpetek, gli gnocchi di “Perfetti Sconosciuti” e l'horror che ancora non la fa dormire

LOCARNOLe litigate con Ozpetek, gli gnocchi di “Perfetti Sconosciuti” e l'horror che ancora non la fa dormire

07.08.21 - 12:11
A tu per tu con Kasia Smutniak premiata venerdì con l'Excellence Award al Locarno Film Festival
Tipress/LocarnoFilmFestival
Le litigate con Ozpetek, gli gnocchi di “Perfetti Sconosciuti” e l'horror che ancora non la fa dormire
A tu per tu con Kasia Smutniak premiata venerdì con l'Excellence Award al Locarno Film Festival

LOCARNO - Come per la collega Laetitia Casta anche per l'attrice italiana di origini polacche Kasia Smutniak il percorso nel mondo di cinema e televisione parte tutto dalla moda, e da giovanissima.

Smutniak, che è stata insignita ieri sera del Leopard Club Award, ha incontrato questa mattina pubblico e media al nuovo spazio conferenze allestito in quel della Rotonda del Festival. Con lei Piera Detassis dell'Accademia dei David di Donatello.

«Vengo da una famiglia militare, cambiavamo casa e paese spessissimo. Il mio primo concorso di bellezza l'ho fatto dopo aver perso una scommessa, al liceo, ed è stata davvero una stupidata», scherza Kasia, «è stata un po' una sorta di rivincita del mio gruppo di amici un po' alternativi nei confronti di una compagna tutta precisina che a questa cosa ci teneva tantissimo. Alla fine sono arrivata seconda e ho vinto solo un orsacchiotto! La più contenta però è stata mia mamma, ha pianto tanto, ci teneva davvero che mi mettessi a posto!».

L'esordio nel 2000 con Panariello e poi un percorso lungo variegato costellato da grandi registi, al Pardo ha deciso di portare “Nelle tue mani” (2007) di Peter del Monte e che le è valso anche un Nastro d'argento: «Lì ho un po' capito quello che cercavo nella recitazione, cioè il fatto di riuscire a mettere nello spazio sé stessi in funzione della storia. In questo senso la figura del regista, il rapporto che hai con lui è fondamentale. Io faccio un lavoro in cui sono una tela bianca nelle mie stesse mani, in scena metto tutte le mie emozioni e il mio bagaglio emotivo e solo io so quanto mi costa. Il fatto di sapere che stai lavorando con una persona che non ti “tradirà” e da questa tua fatica tirerà fuori il meglio di te fa davvero la differenza».

Un rapporto quello fra attore e regista che può portare frutti ma anche screzi, creativi, intensi: «Un esempio è Ferzan Ozpetek, nella vita è uno dei miei più cari amici ma sul lavoro è una delle persone con cui ho litigato di più e più ferocemente. Abbiamo passato giornate intere senza parlarci e senza nemmeno dirci buongiorno», continua Kasia, «per fare un film ci si mette in gioco e in maniera molto emozionale».

Questo perché in ogni film bisogna metterci un pezzo di sé, fra esperienze e tempo: «Fare l'attore è un lavoro faticosissimo, e non solo emotivamente. Ti chiede tutto: tantissimo tempo, ti porta via di casa, dai tuoi figli, ti fa alzare all'alba e ti tiene impegnata anche per 16 ore al giorno. Per questo per me deve valerne la pena, mentre lo faccio voglio imparare cose nuove, anche su di me. Non mi piace ripetermi, voglio fare cose nuove che ancora non conosco».

Un esempio è l'horror “Pantafa” di Emanuele Faringi e per Fandango: «Mi ci sono buttata a capofitto, subito dopo il lockdown e un po' me ne sono pentita. È durato più di quanto pensassi ed è stata dura lavorare per mesi senza vedere il volto di chi lavora con te. Pensavo a un set più leggero e invece la paranoia era a mille. Anche la storia è davvero pesante, e io non amo i film horror e sicuramente non lo riguarderò. Devo dire che un po' di quella paura mi è rimasta e ancora non dormo del tutto serena, grazie Emanuele», conclude semiseria. 

Impossibile poi non parlare del film-fenomeno “Perfetti Sconosciuti” del 2016 e di Paolo Genovese, in cui un gruppo di amici a una cena mette in atto un esperimento social(e): condividere tutti i messaggi e telefonate ricevute nell'arco della serata. 

Kasia ha fatto parte del cast anche del remake polacco: «È uno dei film con più rifacimenti della storia, se non sbaglio siamo finiti anche sul Guinness dei primati», racconta, «all'inizio avevo un po' di dubbi sul fatto di rifare un film ma poi mi sono detta: "Ma quando ti ricapita?". Le differenze sono state comunque sostanziali, anche dal punto di vista culturale. In Italia è normale restare tante ore a tavola in Polonia alla fine del film, invece, sono tutti ubriachi (ride)».

L'aspetto critico di tutta la faccenda stava tutto... nel piatto: «Una delle prime cose che ho fatto è andare dalla produzione e chiedere: qual è il menu? Sembra una cosa strana ma la verità è che sul set italiano abbiamo passato 4 settimane a mangiare costantemente la stessa cosa ed è stato pesantissimo, tornavamo a casa con il mal di pancia. Gli gnocchi non li posso più vedere, giuro, e non parlatemi di fiori di zucca e alici, vi prego. Anche fra di noi del cast, la sera tornavamo dritti a casa, figurarsi uscire a cena (ride)».

In conclusione impossibile non spendere qualche parola sull'impegno umanitario dell'attrice, che con l'associazione dedicata a Pietro Taricone ha aperto una scuola in Nepal per i bimbi di una comunità tibetana: «Ci sono dei posti che quando arrivi capisci che ci lascerai un pezzo di cuore, è stato così per me in Nepal. È un progetto in cui ci abbiamo messo anima e cuore e per me resta una grande responsabilità, educare questi bambini - aprire loro prospettive per il futuro - e tramandare la lingua e cultura di una comunità a fronte di quella nazionale nepalese. Al momento lì la situazione Covid è difficile, il Paese è ancora in lockdown e il vaccino è arrivato solo 2 mesi fa e si sa che solo da quello si può ripartire». 

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