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CANTONE / MONDO#MeToo e cinema: «C'è ancora molto da fare e da migliorare»

17.10.19 - 06:01
Le riflessioni di Lili Hinstin, direttrice artistica del Locarno Film Festival: «Non credo che nessuna regista vorrebbe che il proprio lavoro fosse preso in considerazione solo perché lei è donna»
LOCARNO FILM FESTIVAL
Gli effetti di #MeToo nel mondo del cinema secondo Lili Hinstin.
Gli effetti di #MeToo nel mondo del cinema secondo Lili Hinstin.
#MeToo e cinema: «C'è ancora molto da fare e da migliorare»
Le riflessioni di Lili Hinstin, direttrice artistica del Locarno Film Festival: «Non credo che nessuna regista vorrebbe che il proprio lavoro fosse preso in considerazione solo perché lei è donna»

LOCARNO - LOCARNO - Il movimento #MeToo è entrato nell'industria cinematografica un paio di anni fa con la forza dirompente di un tornado: ha scoperchiato un sistema diffuso e accettato di abusi, molestie e sessismo. Il caso Harvey Weinstein è stato il più eclatante, ma non l'unico. Sull'onda dei gruppi che si sono creati e del sentimento popolare favorevole sono state proposte numerose istanze, si sono fatte promesse solenni e sono stati firmati documenti programmatici verso una parità di genere salariale e di rappresentazione.

Ora, varie professioniste ed esperte del settore denunciano che i cambiamenti - pur in un contesto culturale finalmente mutato - stanno avvenendo troppo lentamente. In modo «glaciale», come riportato in una estesa analisi del quotidiano britannico The Guardian. La consapevolezza del problema non si tramuta ancora in numeri tali da poter dire che il cambiamento è finalmente avvenuto, sostengono, e bisogna fare pressione affinché le promesse diventino realtà.

Abbiamo chiesto a Lili Hinstin, direttrice artistica del Locarno Film Festival, qual è il suo punto di vista su questi temi, così delicati e così importanti.

Ritiene che le istanze del movimento #MeToo siano state prese sufficientemente in considerazione dall'industria cinematografica?
«Forse non a sufficienza, c'è ancora molto da fare e da migliorare. Così come per altre grandi lotte, come l'ambiente, e per contrastare alcune situazioni critiche. Il movimento #MeToo ha dato il via a un importantissimo cambio di rappresentazione, che ora è maggiore e soprattutto a una velocità che nessuno si aspettava anche solo tre anni fa. Adesso però dobbiamo arrivare a un cambiamento di paradigma».

Di che genere?
«Sto leggendo su Le Monde un articolo su quelli che hanno definito i "numeri choc" delle violenze sessiste sul lavoro. Partono da un sondaggio realizzato in cinque Paesi europei (Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia e Spagna) che rivela che il 60% delle donne ha riscontrato dei "problemi" di vario genere nel corso della carriera. Quando si entra nelle pieghe del sondaggio si vede che è stato chiesto alle partecipanti se sono state aggredite sessualmente. Ecco, io direi che in questo sondaggio, con questa domanda, non si cambia paradigma: si continua a considerare le donne come oggetti di preda sessuale. Se parliamo di sessismo al lavoro potremmo anche domandare chi ha avuto la carriera bloccata dall'essere donna, dalla maternità eccetera. Ecco perché è ora di cambiare paradigma, come dicevo, e allargare il discorso a tutti i temi d'ineguaglianza pazzeschi che subiscono le donne».

Quale ritiene che sia il più eclatante?
«Parto dallo stipendio: se le donne fossero pagate allo stesso modo degli uomini sarebbero più rispettate e meno molestate».

Crede che Locarno, sotto la sua guida artistica, abbia soddisfatto le richieste di maggiore attenzione verso la parità di genere nella scelta dei film e nella composizione delle giurie? Oppure c'è margine per migliorare?
«Anche a Locarno si può migliorare, senz'altro. Penso che abbiamo fatto comunque dei buoni passi avanti in ambito artistico. Per esempio a livello dei comitati di selezione, che sono alla pari tra uomini e donne ma anche tra le giurie, dove per la prima volta nella storia del Festival c'è stata una donna presidente della giuria del Concorso internazionale. Che non fosse successo in 72 anni sembra sorprendente. Al Concorso internazionale c'erano tre donne e due uomini, quella di Cineasti del presente aveva due donne e un uomo, e così via».

Quanta attenzione a questi temi c'è stata anche in fase di selezione?
«Per un direttore artistico non è una questione facile da risolvere, o almeno io non l'ho risolta. È giusto voler dare maggior posto alle donne, ma serve equilibrio: non credo che nessuna regista vorrebbe che il proprio lavoro fosse preso in considerazione solo perché lei è donna. Per una creatrice sarebbe umiliante e irrispettoso. L'equilibro è dare più attenzione alle donne ma senza cadere in un sistema di quote rosa, a dispetto di un disegno artistico contemporaneo. Se guardiamo solo i numeri, è interessante per Locarno che quest'anno tra i lungometraggi abbiamo selezionato un 35% di film diretti da donne. Questo è un buon segnale, direi».

Si procede nella giusta direzione, quindi?
«Vedo che è una questione generazionale: i più giovani di noi, nel comitato del Festival, hanno assimilato le questioni di rappresentanza (non solo di genere, ma anche di minoranze). La gioventù in seno al comitato riflette quello che è un movimento nella società, che è reale e importante».

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