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Quel Tarantino un po' feticista che convince così così

LOCARNOQuel Tarantino un po' feticista che convince così così

11.08.19 - 08:00
“Once upon a time in Hollywood”, in Piazza Grande sabato sera, è un nostalgico delirio che non mancherà di dividere
Sony Pictures Entertainment
Quel Tarantino un po' feticista che convince così così
“Once upon a time in Hollywood”, in Piazza Grande sabato sera, è un nostalgico delirio che non mancherà di dividere

LOCARNO – Tarantino, si sa, è uno che o lo ami o lo odi: sin dagli esordi. Citazionista patologico di tutta quella marmaglia di film di Serie B anni '60-70, verbosissimo, violento eppure attentissimo ai dettagli, geniale e dall'occhio cinematografico sopraffino.

Riverito dai suoi fan, con i critici ha un rapporto decisamente più complesso fra chi lo definisce un gonzo a chi invece ne venera la visione e la maestria.

“Once upon a time in Hollywood”, ultima sua pellicola presentata a Cannes e sabato sera in Piazza Grande per il Pardo 19, è forse il suo film più divisivo.

Ambientato in quella Hollywood a fine anni '60 che ha dato i natali a molte delle sue pellicole preferite – fra western di seconda mano e pellicole di kung-fu – racconta non una ma due storie su livelli paralleli.

Quella portante segue le tribolazioni di un attore di non primissimo grido in evidente crisi esistenzial-lavorativa (Leonardo DiCaprio) e del suo cascatore-tirapiedi (Brad Pitt). Sull'altro binario invece scorre la vita della coppia di superdivi Sharon Tate (Margot Robbie) e Roman Polanski che si concluderà nel celeberrimo omicidio per mano di Charles Manson e dei suoi adepti.

Due storie che si intrecciano in più punti, che fanno parte dello stesso universo ma che finiranno per collidere davvero solo nelle battute finali. Come due strade diverse che portano alla stessa destinazione.

Le medesime strade che sono protagoniste di asfalto, perché nelle due ore e quaranta di film una gran parte del tempo è trascorsa rombando per i colli e le vie di una Los Angeles retrò scintillante e ricreata con una perizia incredibile.

Una cura certosina e maniacale che, in puro stile Tarantino, è applicata anche ai set, alle scenografie e alle citazioni di cui la pellicola è zeppa. Se durante tutta la carriera il regista ha voluto rendere omaggio alle amate pellicole, con “Once upon a time” la celebrazione è diretta a chi – quei film – li creava.

Un omaggio dell'omaggio che però resta un po' fine a sé stesso e soffre di diversi problemi. Il primo è una generale mancanza di direzione della trama che non si capisce mai davvero dove voglia andare a parare, il secondo è l'estrema scollatura (forse voluta?) dei due piani narrativi. Il terzo riguarda la vena citazionistica tarantiniana che ormai comincia un po' a perdere di mordente.

“Once upon a time in Hollywood” ha poi un altro difetto: quello di essere cocciutamente (ma forse anche inconsapevolmente) fuori dal tempo e soprattutto ignorante del presente socio-culturale.

Pochissimi personaggi femminili, spesso e volentieri trattati male, qualche gag razzista di troppo (un Bruce Lee trasformato in macchietta per far sghignazzare la platea) e un'ossessione ben poco nascosta per i piedi femminili nudi di cui il film è costellato.

Tarantino più di una volta calca la mano e l'impressione e che più di un omaggio si tratti di un feticcio un po' vuoto e vanaglorioso, di una persona che mette sullo schermo solo quello che piace a lui senza troppo curarsi dello spettatore. E, sia chiaro, è una cosa che ha sempre fatto. Ma se una volta il risultato era (se non altro) culturalmente dirompente, oggi risulta sterile, ridondante e un filo reazionario.

Ma quindi è un film brutto? Per carità si tratta sempre e comunque di una gran prova di regia con una fotografia impeccabile e un cast pazzesco diretto benissimo.

Di Caprio & Pitt sono in grande spolvero e anche Margot Robbie sembra genuinamente a suo agio (anche in una parte stretta stretta come la sua). Moltissimi i cameo e le ospitate di peso che lasciano il segno una sì e una no.

Insomma, da vedere? Anche qui la risposta è puramente soggettiva e agli opposti: sì se vi piace Tarantino, no se non vi piace (perché non vi farà cambiare idea, anzi). Se siete in dubbio... andateci, i lavori di questo spessore comunque sono una rarità.

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