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Bastian Baker racconta il suo “disco americano”

SVIZZERABastian Baker racconta il suo “disco americano”

22.11.18 - 06:01
Il giovane cantautore vodese ha pubblicato il suo quarto album. Prima di ripartire in tour con Shania Twain, ieri sera si è esibito negli studi Rsi di Lugano nell’ambito degli showcase di Rete Tre
FOTO MICHELLE McCORMACK
Bastian Baker, classe 1991.
Bastian Baker, classe 1991.
Bastian Baker racconta il suo “disco americano”
Il giovane cantautore vodese ha pubblicato il suo quarto album. Prima di ripartire in tour con Shania Twain, ieri sera si è esibito negli studi Rsi di Lugano nell’ambito degli showcase di Rete Tre

LOSANNA (VD) - Che Bastian ci sapesse fare, lo avevamo già capito da tempo. Più precisamente da quando, nel 2011, il compianto Claude Nobs lo catapultò - appena ventenne - sul palco del suo Montreux Jazz Festival, dopo averne scoperto il talento in un piccolo club di Zermatt (VS).

In sette anni, sia in studio di registrazione, sia dal vivo, Bastian ha giocato sempre al meglio le sue carte. Ed è quanto è accaduto anche in questo nuovo disco - omonimo -, che ha costruito, pressoché a livello integrale, al di sopra di - ottime - strutture pop oriented - con incursioni, a tratti, nell’r&b -, circumnavigando, in questo caso, quasi completamente le sonorità acustiche e folky dei tre album precedenti.

Bastian, normalmente, seppur non sempre, un album omonimo è il primo… Perché questa scelta?

«Le ragioni sono molteplici… Innanzitutto, questo disco, a differenza dei precedenti, raggiungerà più Paesi… La distribuzione avverrà, ad esempio, tra i numerosi altri, anche negli Stati Uniti e in Australia: per cui, se vogliamo, per me, a quelle latitudini, si tratta di un esordio… Per il territorio elvetico, invece, rappresenta esattamente ciò che sono in questo momento…».

Questo, tra l’altro, è il tuo “disco americano”... Ha preso forma in territorio a stelle e strisce, giusto?

«Sì, ma non solo… Ho lavorato su di esso negli Stati Uniti, in Canada e anche in Belgio...».

E del processo compositivo, in particolare, che vuoi dirmi?

«Questa volta scritto i brani con diversi autori e produttori - tra cui Jacquire King e Vlad Holiday -. Dove? prevalentemente a Nashville, ma anche a Los Angeles, a New York e a Toronto...».

FOTO STEPHANE MOCAN

Nashville è la capitale della country music… La country music che si riverbera, se non sbaglio, però, solo in un’unica canzone del disco, in “Blame It On Me”...

«Effettivamente ho scritto e registrato quel brano a Nashville. A quelle latitudini, in ogni caso, confluisce di tutto: è un punto di incontro di generi e stili anche anche molto diversi tra loro...».

FOTO SEBASTIAN SMITH

Visto che hai passato un po’ di tempo in Tennessee, avrai fatto un giro anche a Memphis immagino, a visitare Graceland, la tenuta di Elvis Presley…

«No, anche perché quando mi trovo da quelle parti voglio godermi Nashville: mi sento come a casa, ho un sacco di amici…».

Cosa hai ascoltato in particolare nel corso del processo di lavorazione dell’album?

«Un sacco di cose… Citerei, comunque, The Weeknd, Justin Timberlake ed Ed Sheeran... Musicisti, questi, che credo abbiano influenzato prevalentemente brani come “Yokko” e “So Low”».

E a livello di country music?

«In questo caso direi Dierks Bentley…».

Un’ultima domanda. Come ben sappiamo, pochi mesi fa Lara Gut si è sposata con Valon Behrami… Le hai mandato gli auguri?

«(ride) No, anche perché, come tutti, non sapevo nulla del matrimonio… Tra l’altro, è anche un po’ che non ci sentiamo... Quando l’ho letto sui giornali ero felicissimo per lei anche se poi, devo ammettere, me ne sono dimenticato... Hai fatto bene comunque a ricordamelo...».

Che vuoi dire? Le manderai gli auguri ora?

«Beh… Effettivamente adesso è un po’ tardi...».

 

 

 

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