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King Khan al Buskers tra garage, punk e soul

GERMANIA/CANTONEKing Khan al Buskers tra garage, punk e soul

19.07.18 - 06:01
Sabato 21 luglio, a Lugano, il Buskers di LongLake ospiterà uno dei grandi protagonisti della scena garage degli ultimi due decenni: parliamo di King Khan, canadese, da qualche tempo di base a Berlino
Foto MS
King Khan.
King Khan.
King Khan al Buskers tra garage, punk e soul
Sabato 21 luglio, a Lugano, il Buskers di LongLake ospiterà uno dei grandi protagonisti della scena garage degli ultimi due decenni: parliamo di King Khan, canadese, da qualche tempo di base a Berlino

BERLINO/LUGANO - Garage, punk, psichedelia, soul, rhythm & blues si fondono all’interno di un amalgama esplosivo. Un amalgama che Arish Ahmad Khan (King Khan, voce e chitarra) e la sua band, gli Shrines, porteranno per la prima sul palco alle nostre latitudini.

Arish, ti ritroviamo regolarmente impegnato su più fronti. Penso, ad esempio, alla collaborazione con i Black Lips, con cui, pochi mesi fa, in occasione del Record Store Day 2018, hai dato alla luce l’ep “Play Safe” (Ernest Jenning Records Co./Khannibalism): che vuoi dirmi al riguardo?

«Parte delle registrazioni sono state effettuate qui a Berlino per radioeins, nei giorni in cui il tour dei Black Lips, sul finire del 2017, ha fatto tappa da queste parti. Alle sessioni ha partecipato anche mia figlia Saba Lou (così come la più piccola, Bella - 15 anni -, ndr). Difatti, il disco è accreditato ai Black Lips e alla Khan Family...».

L’ep conta due versioni di “Play Safe”, così come di “52 Drops”. Di quest'ultima una è prodotta da Sean Lennon.

«Ho scritto e registrato un primo prototipo di “52 Drops” nel 2000. Cole Alexander (Black Lips) mi ha sempre detto che avrebbe voluto lavorare sul testo, ed è ciò che ha fatto a diciassette anni di distanza. La versione in questione è stata registrata durante le incisioni di “Satan’s Graffiti Or God’s Art?” (Vice Records, 2017), l’ultimo album dei Black Lips, di cui Sean è il produttore».

Raccontami di Lennon...

«Con Sean avevo già lavorato alla colonna sonora di “Ava’s Possessions” (Chimera Music, 2016), un film di Jordan Galland. Siamo diventati molto amici: è una persona meravigliosa, molto gentile».

E di tua figlia Saba Lou, che vuoi dirmi?

«È cresciuta ascoltando tutto ciò che girava a casa e in studio di registrazione: soul, r&b, garage, punk, psichedelia, rock’n’roll. Ora ha diciotto anni e già da qualche tempo ha sviluppato un suo stile personale. Nel 2017, tramite Khannibalism, la mia label, ha pubblicato il suo primo album, “Planet Enigma”».

Veniamo a King Khan & The Shrines. Raccontami gli inizi del progetto...

«Avevo 22 anni e volevo dare vita a una “psychedelic soul band”: sai, il soul, per me, è sempre stato molto importante… In quasi vent’anni la line-up è rimasta pressoché invariata… Un fattore di cui vado molto fiero...».

L’ultimo album del progetto è “Idle No More” (Merge Records, 2013)...

«Si tratta di un disco arrivato sul mercato a cinque anni di distanza dal precedente, “The Supreme Genius Of King Khan & The Shrines” (Vice Records, 2008). Non sono pochi cinque anni, è vero, ma in quel periodo mi sono ritrovato a combattere contro un pesante esaurimento nervoso. “Idle No More” è la mia rinascita».

Che vuoi dirmi della seconda traccia, “Bite My Tongue”?

«I versi, originariamente, hanno preso forma riflettendo sulle varie dinamiche delle organizzazioni criminali, della mafia...».

State lavorando a nuovo materiale, a un nuovo album, in questo periodo?

«Sì, un paio di pezzi nuovi figurano anche nella setlist che porteremo al Buskers».

Quando prevedi l’uscita del disco?

«Non prima del 2020...».

Nei tuoi testi affronti temi molto seri, molto importanti.

«Credo che la musica sia il veicolo adatto per riuscire a fare passare certi messaggi. Messaggi contro il razzismo, contro le ingiustizie, dando voce a chi, talvolta, non riesce a farsi sentire. Nel contempo, come puoi vedere dai miei versi, dalle mie strofe, penso che la vita, nel limite del possibile, vada presa con il sorriso, con la giusta dose di ironia».

Prima di concludere: chi è il tuo punto di riferimento assoluto?

«Credo Little Richard. È stato il primo a salire sul palco truccato a puntino, con fondotinta e matita, mostrando al pubblico, già nella seconda metà degli anni Cinquanta, un'altro tipo di sessualità...».

 

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