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CANTONEYor Milano vuota il sacco: «Quanta cattiveria in certa gente»

09.05.18 - 06:01
Il popolare showman, paladino del teatro dialettale, compie 80 anni e si prepara a fare festa al LAC: «La morte? Non esiste»
Yor Milano vuota il sacco: «Quanta cattiveria in certa gente»
Il popolare showman, paladino del teatro dialettale, compie 80 anni e si prepara a fare festa al LAC: «La morte? Non esiste»

LUGANO – “Ricomincio da 80”. È il titolo della serata in programma martedì 29 maggio, alle 20.30, al LAC di Lugano. Un evento che celebra gli 80 anni (li compirà il 14 maggio) di Yor Milano, attore, musicista, cantante, cabarettista, conduttore. Personaggio capace di fare la storia sia del teatro, sia della tivù nella Svizzera italiana. Amato da molti, ma non da tutti. Indimenticabile il suo “Superflip”, gioco a premi degli anni ’80. Così come resteranno indelebili le sue battaglie in favore del teatro dialettale. «Quello di qualità – precisa –. Perché purtroppo c’è una fetta di pubblico a cui va bene qualsiasi cosa. Proprio come esiste un pubblico che a Natale fa la coda per i cinepanettoni». 

Al LAC riavvolgerà 80 anni di storia. Che ricordi ha della sua infanzia?

«Sono nato nel Giura, ma i primi 7 anni di vita li ho trascorsi in giro per la Svizzera. I miei genitori erano musicisti ed erano sempre in tour. A un certo punto sono stato “parcheggiato” a Bienne, dove ho iniziato le scuole». 

Il suo estro l’ha ereditato dunque dai suoi genitori?

«Discendo da una famiglia di artisti. È nel nostro DNA. A quattro anni facevo già gli spettacolini comici. Li tenevo in francese, la mia lingua madre». 

Sembra paradossale per uno che si è eretto a paladino del dialetto ticinese.

«Ma io, il dialetto, l’ho imparato da zero, arrivando in Ticino. Come accade per qualsiasi altra lingua. Marta Fraccaroli, nota autrice dialettale scomparsa qualche anno fa, mi prendeva sempre in giro. Diceva: "ti ul dialett, ta sé mia bon a parlal"».

Lei ha partecipato a decine di commedie dialettali. A un certo punto la RSI l’ha invitata a farsi da parte…

«Me l’hanno fatta passare come misura di risparmio. Invece, io so per certo che tale decisione è stata presa dopo avere dato credito alle maldicenze che giravano nei miei confronti. Quanta cattiveria…». 

Non le sembra di cadere un po’ nel vittimismo?

«No. Assolutamente. Più sali lungo la scala della notorietà e più aumenta l' invidia. Sul mio conto ne sono state dette di tutti i colori. Come, per esempio, che io non pagavo gli attori del Teatro Popolare della Svizzera Italiana (TEPSI) o che intascavo le quote dei sostenitori». 

A 80 anni uno può permettersi di vuotare il sacco. Ci faccia qualche altro esempio…

«D'estate avevo un'attività sulle navi come direttore di crociera. E quindi mi assentavo per uno o due mesi. In radio girava voce che quando mi assentavo, in realtà andavo alla Stampa a scontare la mia pena per pedofilia». 

Quando riguarda una commedia con Quirino Rossi e Mariuccia Medici cosa prova?

«Una grande nostalgia, perché mi rendo conto che certi tempi non torneranno più». 

Effettivamente, salvo alcune eccezioni, le nuove leve del teatro dialettale lasciano piuttosto a desiderare. Perché?

«Quirino e Mariuccia erano fuoriclasse. Difficile trovare eredi di due personaggi simili. In ogni caso di talenti oggi ce ne sono. Ma non tutti ascoltano». 

Ci fa un esempio?

«Flavio Sala. È bravissimo. Pur essendo prigioniero di Roberto Bussenghi, il personaggio dei “Frontaliers”». 

Flavio Sala, qualche tempo fa, ha lasciato il TEPSI per creare una compagnia a parte. Lei come l’ha presa?

«Male. Intendiamoci, aveva tutti il diritti di mettersi in proprio. Anzi, era un desiderio del suo povero papà. Ma poteva benissimo partecipare all’ultima commedia che aveva in cantiere con me. Invece sono stato piantato in asso». 

Ha visto Frontaliers Disaster al cinema?

«No, non ne ho avuta l’occasione. I pareri sono discordi, c'è chi ne parla bene e chi male». 

Però i numeri dicono che il successo al botteghino è stato strepitoso. Come lo spiega?

«Nella Svizzera italiana il pubblico è a strati: ceto alto, ceto medio e ceto basso. A qualcuno basta sentire due battute da osteria per ridere. Sta di fatto che quella dei Frontaliers, a suo tempo, è stata un’idea strepitosa». 

Lei, invece, col suo TEPSI, continua a puntare su commedie internazionali riadattate al contesto locale. Una scelta che non fa l’unanimità.

«Il pubblico le apprezza sempre. E non ammetto che si critichi la mia scelta. Chi lo fa, dimostra un’incompetenza di fondo». 

Parliamo di TV. Quale personaggio dello spettacolo porta nel cuore?

«Rita Pavone. Una donna carismatica. L’ho avuta più volte come ospite». 

Yor Milano ha condotto tantissime trasmissioni in Svizzera. A “Non Stop” della RAI, invece, è quasi passato inosservato. Perché?

«La mia comicità faceva ridere gli addetti ai lavori. Ma il pubblico non l' ha capita. Io sono una specie di poeta della risata. Mi piace meravigliare. Gli italiani, invece, vogliono una comicità più diretta, quasi volgare. Personaggi come Umberto Smaila e Jerry Calà, che facevano parte del team, lo hanno dimostrato». 

Sinceramente, Yor Milano nel 2018 è ancora in grado di fare ridere la gente, oppure è un po’ passato di moda?

«Questo deve dirlo il pubblico, io ci provo sempre. Non mi pongo limiti di età». 

Lei ha 5 figli e oggi vive con la sua seconda moglie, Silvana, a Cureglia. Si sa poco della sua vita privata. Come mai?

«Tendenzialmente ho sempre cercato di separare il lavoro dalla vita privata. Forse è stato anche un modo per proteggere la mia famiglia». 

Pensi al Ticino fra 30 anni. Si parlerà ancora dialetto?

«Temo di no. I giovani lo capiscono, ma non lo parlano. Mi preoccupa questa situazione. E poi c’è un vuoto generazionale anche per quanto riguarda gli autori dialettali. Mancano i Maspoli, i Grignola». 

Lei nel 1999 ha fondato il TEPSI. Da allora lotta come un leone per promuovere il dialetto. Non si sente un po’ come un Don Chisciotte contro i mulini a vento?

«Mi sento un po’ solo. Mi manca un braccio destro. Speravo tanto in Flavio Sala. Ecco perché sono rimasto deluso, quando mi ha voltato le spalle». 

Quirino Rossi, Mariuccia Medici. E poi, ancora, Annamaria Mion, Renzo Scali, Sergio Filippini, i coniugi Fraccaroli… Gli attori della vecchia guardia sono quasi tutti morti. Che effetto le fa?

«Mi fa riflettere. Perché pur trovandomi in perfetta salute a 80 anni, mi rendo anche conto che ogni giorno è regalato. E va quindi vissuto e apprezzato». 

Yor Milano ha paura della morte?

«La morte non esiste. Sono una persona che ha fede. Ho fatto un percorso di ricerca. E se cerchi, trovi. E poi penso che anche nell’aldilà ci sarà da morire dal ridere». 

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