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CANTONE"Day One", una convincente cavalcata prog metal

30.01.18 - 06:01
Con l'Ep di debutto i Lost Journey dimostrano di aver trovato una propria dimensione musicale
Allison Capitanio
"Day One", una convincente cavalcata prog metal
Con l'Ep di debutto i Lost Journey dimostrano di aver trovato una propria dimensione musicale

LUGANO - Alcuni giorni fa i Lost Journey hanno pubblicato "Day One", il loro primo progetto discografico. Nelle cinque tracce di questo Ep la giovane band dimostra di aver trovato una propria dimensione musicale nel solco della tradizione del melodic progressive metal. Abbiamo parlato di questo debutto con tre dei cinque componenti del gruppo: Diane Lee (voce), Matteo Pelli (chitarra, compositore) e Denis Broggini (batteria e seconde voci).

Cominciamo con il vostro nome: come è nato “Lost Journey”?

Denis: «Avevamo bisogno di qualcosa che rappresentasse la nostra vita quotidiana, qualcosa in cui ci potessimo identificare. “Lost Journey”, che alle nostre orecchie suonava bene e non era troppo scontato, può essere interpretato ironicamente come la traduzione dei nostri infiniti viaggi da e per quella che era la nostra base originaria, che si trovava a Brusino Arsizio. “Lost Journey” è il viaggio perduto della vita di tutti: “perduto” si riferisce a qualcosa di disperso, di astratto. Nessuno conosce esattamente il significato della vita e nessuno sa come andrà a finire».

Quali sono i vostri gruppi di riferimento? Sbaglio se dico che, complessivamente, si sente l’influenza dei Dream Theater ma anche dei Porcupine Tree?

Matteo: «Sicuramente, i Dream Theater sono una delle influenze principali per quanto riguarda la composizione e lo stile dei brani dell’EP. Per il resto, ognuno dei componenti del gruppo ha apportato il proprio stile all’interno di ogni traccia, sia con idee di arrangiamento, testi o con durante la realizzazione. Il risultato è stato un buon connubio delle principali influenze musicali di ognuno di noi, tra cui i sopracitati Dream Theater, poi Epica, Evanescence, Nightwish, Symphony X, fino a compositori di colonne sonore cinematografiche come Hans Zimmer ed Ennio Morricone».

Cosa vi ha influenzato maggiormente mentre incidevate l’album?

Matteo: «Probabilmente il risultato della combinazione tra gli artisti che ci appassionano e gli eventi della nostra vita personale. Tutto questo è andato senz’altro a incidere sul prodotto finito, soprattutto nelle fasi iniziali di composizione e stesura dei testi».

Perché l’Ep di debutto s’intitola “Day One”?

Diane: «“Day One” riguarda innanzitutto la prima uscita con la nuova voce (la sua, ndr) e la svolta verso il nuovo genere, come se fosse una sorta di rinascita per il gruppo. Inoltre si riferisce all’ultima traccia dell’EP, “The Fortress of Time - Pt.2” : la seconda parte di un brano “concept” che racconta del primo giorno di risveglio dal coma di un personaggio fittizio da noi ideato. In questo secondo capitolo, egli deve fare i conti con la sua perdita di memoria, conseguente a un male che lo tormenta, fisico e psicologico. Abbiamo deciso, contrariamente ai tipici lavori musicali “concept”, di raccontare inizialmente la seconda parte della storia, per avere la possibilità futura di sviluppare la prima parte in un Lp».

Quanto lavoro c’è stato prima di arrivare a incidere le canzoni?

Matteo: «Parecchio, nonostante sia un disco di sole 5 tracce. Le fasi di composizione, arrangiamento e pre-produzione dei pezzi hanno richiesto diverso impegno e tante notti insonni. È il risultato di mesi di lavoro e di sviluppo di idee che ci hanno ispirato a tal punto da essere poi incise, ma comprende anche diverse opzioni che sono cestinate».

L’Ep, nel complesso, mi è sembrato molto omogeneo, senza particolari discrepanze tra un brano e l’altro. C’è un filo conduttore che lega le canzoni?

Diane: «Il fatto che Matteo, ovvero una mente sola, abbia composto tutta la parte strumentale crea già un filo conduttore. Inoltre, per una scelta artistica, tutti i pezzi contengono delle parti melodiche in comune, ovviamente riarrangiate a seconda del senso della canzone. L’effetto che volevamo ottenere era proprio quello di avere un EP che generasse un percorso di sensazioni ben distinte ma allo stesso tempo collegate fra loro, che facesse risuonare un unico linguaggio per tutta la sua durata, che creasse una propria atmosfera».

Chi si occupa principalmente dei testi? Quali atmosfere avete voluto evocare?

Denis: «Non c’è una persona in particolare che si occupa di scrivere i testi, siamo tutti coinvolti. Se qualcuno è ispirato o arriva da un periodo di riflessione allora contribuisce spontaneamente, sottopone la propria idea al gruppo e insieme la plasmiamo. Siccome i testi sono stati scritti dopo la stesura della parte strumentale e l’ideazione di una linea vocale, l’atmosfera dipende molto dall’anima della canzone.
In ogni caso, i testi descrivono sentimenti nati da diverse situazioni, sono un messaggio che cerchiamo di rendere interpretabile di modo che chiunque ci si possa identificare».

Il prog, più che altri generi, ha bisogno di un “architetto” che costruisca la struttura delle canzoni. Tra di voi chi se ne occupa?

Matteo: «Per questo EP ho composto la maggior parte della musica, quindi ho inevitabilmente determinato molto della struttura dei pezzi. Lo stile di “architettura” dei brani differisce quasi sempre, da canzone a canzone; generalmente tutto parte da una piccola idea (può essere una melodia, un riff di chitarra, un “beat” di batteria o addirittura un’idea di concetto) e da quell’idea “radice” poi cerco di seguire quello che la dinamica del pezzo richiede e quello che la mia mente mi “canta” come prosieguo del brano in quel momento. Da qui tutto procede in modo abbastanza lineare e spontaneo».

C’è qualcosa, di questo Ep, che con il senno di poi non avreste fatto?

Diane: «I mesi dedicati alla scrittura, alla registrazione e all’ultimazione dei brani ci hanno anche aiutato a capire cosa volessimo e cosa non ci convincesse appieno. Come già detto precedentemente, molte idee sono state cestinate in quanto non seguivano il filo conduttore desiderato. Abbiamo fatto questo tipo di ragionamento prima di pubblicare il prodotto finito».

Ora pensate di godervi il momento, osservando come va “Day One”, oppure aver rotto il ghiaccio vi spronerà a comporre nuovo materiale per un album?

Denis: «“Day One” lo abbiamo proposto a più riprese durante i nostri primi live nel 2017, questa per noi è più una consacrazione del lavoro svolto, una pietra miliare che decreta la nostra presenza nella scena musicale locale. Ora siamo già all’opera per ampliare il nostro repertorio con altri pezzi che andranno sicuramente a comporre un primo album».

Avete già in programma dei concerti?

Denis: «Per ora siamo d’accordo per presentare l’EP con una intervista e live session acustica di due pezzi il 6 marzo a Radio Fiume Ticino, inoltre ci stiamo mobilitando insieme ad altri gruppi locali per esibirci verso fine aprile. In ogni caso, qualsiasi news che avremo sarà riportata sulla nostra pagina Facebook ufficiale».

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