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"Yara", la storia di un patto implicito tra due madri (ma un film con qualche problema)

ITALIA"Yara", la storia di un patto implicito tra due madri (ma un film con qualche problema)

10.11.21 - 06:00
Non convince del tutto l'opera di Giordana, che cerca di ricostruire uno dei più clamorosi casi di cronaca nera italiana
TAODUE
"Yara" di Marco Tullio Giordana.
"Yara" di Marco Tullio Giordana.
"Yara", la storia di un patto implicito tra due madri (ma un film con qualche problema)
Non convince del tutto l'opera di Giordana, che cerca di ricostruire uno dei più clamorosi casi di cronaca nera italiana

ROMA - Venerdì 5 novembre Netflix ha reso disponibile "Yara", il film di Marco Tullio Giordana che racconta uno dei più clamorosi casi di cronaca nera italiani degli ultimi 10 anni: l'omicidio di Yara Gambirasio.

Il film, circondato da un certo clamore mediatico, si è issato in vetta alla Top 10 italiana di Netflix ed è presente anche in quella svizzera. Il regista di capolavori come "I cento passi" e "La meglio gioventù" ha portato sullo schermo la sparizione della 13enne da Brembate Sopra, in provincia di Bergamo, il 26 novembre 2010 e il ritrovamento tre mesi dopo del cadavere, in un campo di Chignolo d'Isola. Il film è, per forza di cose, un racconto estremamente sintetico di un'indagine durata anni, tra le più complesse mai realizzate in Italia. 

"Yara" è essenzialmente, nel taglio scelto da Giordana, la storia di un patto non scritto tra due madri. La prima è la procuratrice che si è occupata del caso, Letizia Ruggeri. La seconda è Maura Panarese, la mamma di Yara. Ruggeri, interpretata da Isabella Ragonese, è la vera protagonista del film. «Apprezzo che coraggiosamente non abbia voluto fare la simpatica» ha dichiarato il regista al Corriere della Sera, a proposito di Ragonese. «Un personaggio contropelo, all’inizio sola contro tutti». Due donne che sono stati esempi di tenacia e determinazione, tra le quali è presente appunto un patto implicito che viene sottolineato più volte nel corso del film - e che suggella le battute conclusive. Giordana prosegue, dopo "Nome di donna" del 2018, a mettere l'universo femminile al centro del suo cinema.

I problemi del film - Va tutto bene, in "Yara"? Non proprio. L'aver così tanto da dire nella durata standard di un film (non si arriva ai 110 minuti) si è rivelato un punto a sfavore. Si fa molta fatica a lasciarsi coinvolgere dai personaggi (a cominciare dalla stessa Ruggeri) e tutto procede di gran carriera, in maniera didascalica, superficiale e piuttosto anonima. Al processo a Bossetti, ad esempio, si dedicano solamente pochi minuti e non sono stati toccati abbastanza alcuni aspetti estremamente interessanti di questa vicenda, risolta in maniera incredibile dopo il campionamento di migliaia di profili genetici. Peccato, poi, che alcuni personaggi siano poco più che comparse (il colonnello dei Carabinieri interpretato da Alessio Boni, su tutti) e che altri risultino tutt'altro che efficaci. Sembra di trovarsi di fronte a una fiction televisiva (con tutti i limiti che si riscontrano solitamente con questi prodotti in Italia) più che a un film per il cinema.

Il limite dell'eroina solitaria - C'è poi la questione dell'aderenza ai fatti come si sono effettivamente svolti. Giordana ha scelto di dipingere la Pm come un'eroina solitaria (anche se non infallibile) che, con caparbietà e lottando contro tutto e tutti, ha risolto il caso - superando anche i pregiudizi contro le donne. Nella finzione scenica l'azione di Ruggeri è avversata dalla politica e guardata con scetticismo dai media e all'interno della stessa procura. Ma le cose non sarebbero andate così, ha dichiarato al settimanale Giallo il tenente dei Carabinieri (oggi in pensione) Giovanni Mocerino. «È impossibile in sole due ore di film raccontare cosa è stata quell'indagine. Sin dall'inizio avevamo capito che la vicenda aveva toccato tutti e che dovevamo agire a 360 gradi senza risparmiarci. Mai, al contrario di quello che si vede nel film, la dottoressa Ruggeri ha voluto abbandonare ed è sempre stata supportata dai suoi capi. Ovvio che nella pellicola si dia spazio a sentimenti e situazioni personali che nella realtà non ci sono» prosegue Mocerino «ma di certo la caparbietà che avevamo nell'andare avanti era dettata dal fatto che siamo tutti, non solo la Ruggeri, genitori».

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