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CUGNASCOCoronavirus: con il bastone e la carota

15.04.20 - 08:28
Studi, opinioni e riflessioni sul cammino da percorrere per uscire dalla pandemia
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Dove ci portano le misure adottate?
Dove ci portano le misure adottate?
Coronavirus: con il bastone e la carota

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Studi, opinioni e riflessioni sul cammino da percorrere per uscire dalla pandemia

CUGNASCO - Durante il lungo fine settimana pasquale ho avuto modo di leggere la stampa d’oltralpe, scoprendo delle opinioni interessanti sulla situazione legata (ahimè) ancora alla pandemia. Opinioni, studi, controanalisi, provocazioni, ma comunque soggetti di una sana discussione.

Ho per esempio letto con attenzione l’intervista all’imprenditrice e consigliere nazionale Magdalena Martullo Blocher pubblicata dalla SonntagsZeitung nella sua ultima edizione. Tutti con Alain Berset? «Il responsabile della sanità a livello federale ha sottovalutato molto la situazione e non ha preso le misure preventive necessaire. Egli non ha ritenuto necessaria la fornitura del materiale preventivo di protezione (e nemmeno lanciato delle azioni di acquisto – ndr a tutt’oggi non abbiamo le, sembra oramai indispensabili, mascherine). Egli ha spinto la metà della popolazione nel lavoro ridotto e accetta (assieme ai suoi colleghi in governo) un aumento considerevole della disoccupazione, indebitando così lo Stato per le generazioni future. Berset continua a promettere un’apertura senza però annunciare delle misure chiare e scadenzate. Così facendo perdiamo del prezioso per una riapertura orchestrata per evitare il peggio».

A livello cantonale la situazione non mi sembra molto diversa: il diritto di accedere ai negozi degli over 65 (tra l’altro, anche se giustificata, contraria alla legge federale) viene annunciato come una misura di allentamento della ‘quarantena’. Ma un vero piano di uscita concreto? Non sono forse stati commessi altri errori all’inizio della pandemia? Non si dovevano chiudere immediatamente le frontiere verso la ‘zona rossa’? Vista la grande mortalità nelle case di cura (spesso nemmeno considerata nelle statistiche ufficiali – che tra l’altro farebbero rabbrividire qualsiasi docente di matematica), non era il caso di proteggere meglio questa categoria di persone. Forse, penso, più efficace che mettere tutti ai domiciliari.

Mi chiedo anche se certi settori, per esempio il turismo dove abbiamo spazi naturali enormi, non potevano già essere allentati prima. Perché non rimettere in funzione gli impianti di risalita (limitando il numero di passeggeri), offrendo una ristorazione selfservice e piazzando i tavoli rispettando le distanze? Avremmo potuto tenere in movimento una parte del personale, accontentare la domanda di svago e ridurre i costi enormi che questa operazione sta costando (si parla di 300 milioni ogni mese e questo nel solo Ticino). È notizia di ieri che il Giardino Group (al quale appartengono anche le strutture ad Ascona e a Minusio) chiuderà a fine aprile il suo cinquestelle ai piedi dell’Uetliberg a Zurigo. E siamo solo all’inizio.

Sempre leggendo la stampa domenicale mi sono venuti altri dubbi sulla fondatezza dell’attuale ‘strategia’: in base ad uno studio la chiusura delle scuole influisce unicamente per un 2 percento sui contagi e, udite, un altro studio ha dimostrato che andare al supermercato è più rischioso (aerosol in spazio chiuso) che fare la tanto criticata corsetta nel bosco. Non metto in dubbio il grande impegno delle autorità, dico solo che la verità non ha una sola faccia.

Altro esempio: cito il giornalista Beat Schmid, che nel suo editoriale ha sottolineato quanto antipatica sia stata la campagna stampa del Canton Ticino (assieme ai Grigioni) nei confronti dei Confederati. Missive di ‘restare a casa’ e di ‘annunciarsi immediatamente alle autorità comunali’, posti di blocco ‘dimostrativi’ anziché puntare semplicemente sul buon senso delle persone. Nessuno di noi andrebbe a fare un weekend a Bergamo oppure a Brescia, no? E questo senza che i sindaci e governatori regionali abbiano invitato gli ‘Svizzeri’ a restare a casa loro. Perché poi? Caso mai dovrebbero essere i comuni di origine, vedi Zurigo, Berna, Lucerna, Zugo, ad essere scocciati dalle scorribande verso sud dei propri cittadini (considerando i famosi 5 giorni di incubazione). Altre regioni, per esempio l’Oberland bernese e il Vallese sono stati più furbi: hanno approfittato della comunicazione federale e si sono limitati a osservare la situazione. Anche da loro poco si è mosso. La nostra immagine ne è risultata invece offuscata.

Il virologo italiano Giulio Tallo ha affermato che dovremo imparare a convivere con il coronavirus, allora non sarebbe il caso di dotarci di misure che ci abituino a muoverci rispettando la distanza sociale nella vita di tutti i giorni? Il problema non è la nostra mobilità (le auto oppure le moto non distribuiscono il virus), ma il mancato rispetto della protezione degli altri (oltre ovviamente a riconoscere coloro che sono infettati ma restano asintomatici). Poi, il grande rischio annunciato, in caso di attività sportive o di svago, di mettere a repentaglio le strutture sanitarie è pure un’affermazione un po’ farlocca: i pronto soccorsi sono deserti e il personale (non solo in Ticino) in lavoro ridotto. Non è un po’ grottesco? Alla fine della pandemia rischiamo di essere affetti da altre malattie (obesità, depressioni, problemi cardiovascolari...), a meno che, udite, seguiamo la “dieta federale” a base di una carota, un cetriolo, pasta integrale e due uova fritte. Scherziamo? Sembra di no. Rimettiamoci in cammino, per favore!

 

Testo a cura di Claudio Rossetti


Questo articolo è stato realizzato da Progetti Rossetti, non fa parte del contenuto redazionale.
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